Corriere dello Sport (R. Maida) – Questa non è una semplice storia di tecnica e di destrezza. Si tratta di combinazioni fantascientifiche, di allineamenti astrali, di profezie autoavverranti. Servirebbe un pool di psicanalisti per diagnosticare la sindrome di Marco Delvecchio, capace di overperformare nei derby come nessuno mai, prima e dopo di lui. Il nostro scattava sulla fascia, o anche verticalmente, con la corsa dinoccolata e la lingua di fuori. Finta a rientrare e tutti a sedere, a rimirare. Un incubo per la Lazio: persino Nesta, difensore principesco, perdeva la luce e la bussola quando guardava la chioma di questo attaccante diabolico.

Delvecchio ha segnato 9 gol su 17 derby giocati, nemmeno tutti da titolare. È terzo nella classifica dei cannonieri lato Roma relativa a questa partita. Ma soprattutto ha riservato all’avversario più sentito il 12,8% delle reti totali prodotte in Serie A, 9 su 70. Delvecchio non era un finalizzatore implacabile ma contro la Lazio si trasformava in un incrocio tra Batistuta, Totti e Montella, i suoi celebratissimi compagni di reparto nella squadra dello scudetto.

Delvecchio, dica la verità: beveva una pozione magica nella settimana più importante.
“No. Semplicemente preparavo la partita con serenità. Ne conoscevo l’importanza, l’unicità, ma non la soffrivo”.

Forse perché non è romano.
“lo sono romano”.

Sugli almanacchi continuo a leggere che è nato a Milano.
“Sì ma sono un milanese atipico. Mi sento più vicino ai romani nel carattere esuberante. Infatti quando sono arrivato alla Roma dall’inter, in prestito, ho chiesto subito di fermarmi. Dove lo trovi un altro posto così, nel mondo?”.

Adesso purò lei vive a Dubai.
“Da otto anni. Ho deciso di trasferirmi qui perché si sta tranquilli, ‘inverno è caldo, ed è un Paese sicuro per la famiglia. Ma torno spesso, almeno una settimana al mese, ho ancora a casa a Roma”.

La mitica villa di Casalpalocco con Montella come dirimpettaio.
“No, quella l’ho venduta. Crescendo ho capito una cosa: per goderti Roma devi abitare in centro. E così ho fatto. Scendo e passeggio. Stupendo”.

Come trascorre invece le giornate negli Emirati?
“Sto molto con mia figlia che sta facendo le scuole superiori. Commento partite per una tv araba e mi aggiorno. E poi apprezzo il mio tempo. Non si vive di solo calcio”.

La Roma le ha fatto gli auguri per il compleanno (52) qualche giorno fa. Non sente il desiderio di rientrare a Tigoria?
“Ho ancora rapporti ottimi con la Roma. Ma sto bene così. Poi è chiaro, se ci fosse la voglia di collaborare su qualcosa io ascolterei la proposta”.

Domenica andrà allo stadio?
“No ma ci sarò la settimana dopo, per Roma-Verona”.

Non sente nostalgia dell’adrenalina del calciatore?
“Non tanto. Ciò che più mi manca è la sensazione giovanile di vigore fisico. Non i gol o le partite”.

Ha smesso di giocare?
“Mai. E se vedo il pallone di un bambino che rimbalza per strada gli do ancora un calcio. Anche se adesso il ginocchio sinistro mi fa male. Ho fatto troppe finte in carriera”.

Così fregava sempre difensori, soprattutto nei derby, andando sull’interno.
“Avevo una strategia. Utilizzare la stessa finta può sembrare un gesto semplice e ripetitivo. Ma è spesso efficace, se bene applicato, perché il difensore non sa fino all’ultimo se calci in porta o se rientri”.

Tra i tanti derby, quale ricorda con maggiore gusto?
“Il 3-1 con Zeman, nel 1999. Venivamo dalla stagione delle quattro sconfitte e avevamo pareggiato 3-3 all’andata. Segnai due gol io e uno Francesco (con la famosa maglia sulla “purga”, nda). Quella vittoria fu liberatoria e cambiò anche la storia dei derby successivi. Ne avremmo vinti molti, dopo”.

Stavano nascendo due squadre da scudetto. Questa sì, che è nostalgia.
“Fortissimi loro ma anche noi. Grandi duelli, ci siamo divertiti”.

Lei ha segnato 9 gol alla Lazio ma spesso giocava tornante. Questo rende ancora più sfizioso il suo percorso.
“E’ vero. Nell’estate del 2000, Capello viene da me in ritiro e mi domanda: vuoi vincere lo scudetto? lo rispondo: certo. Alllora, mi fa, devi giocare all’ala e correre avanti e indietro”.

Accettò la sfida.
“Per forza. Altrimenti in un attacco con Batistuta, Totti e Montella quante partite avrei giocato? Per me era importante esserci”.

Fu uno del segreti dello scudetto. E uno degli incubi della Lazio.
“Devo essere sincero: dopo i primi 2-3 gol nei derby, si respirava nell’aria che avrei segnato ancora. Se lo aspettavano i tifosi della Roma, che venivano a Trigoria a regalarmi le magliette celebrative. Lo temevano i tifosi della Lazio”.

E i difensori, della Lazio? Ricordo Nesta con gli occhi terrorizzati a terra, prima di uno dei suoi gol.
“Anche loro. C’era una bella aria di fatalismo che mi aiutava. Una congiuntura astrale, che devo dire. Una volta giocai il derby dopo quattro mesi di assenza per una fascite plantare. Avevo fatto solo un allenamento, la rifinitura: arriva la palla buona e pum, gol”.

Magia.
“Ecco, possiamo chiamarla così”.

Chi può essere domenica il Delvecchio della Roma?
“Spero Dovbyk. E’ stato molto criticato ma ha segnato al primo anno di Serie A gli stessi gol di Lautaro Martinez. Non mi sembra abbia fatto così male e io su un centravanti del genere imposterei la Roma del futuro. Tifo per lui, anche perché è mancino come me…”.

Speranze di Champions?
“Onestamente poche. E molto passa da una vittoria domenica. Il calendario è molto difficile e alimenta rimpianti per quello che poteva essere e non è stato, perché la Roma ha un organico di buonissimo livello”.

De Rossi, Juric, Ranieri. È stata una stagione tribolata.
“Mi chiedo dove sarebbe ora la squadra se Ranieri fosse stato in panchina dalla prima giornata. Con tutto il rispetto, se mandi via De Rossi dopo poche partite non puoi chiamare Juric. Non era un profilo adatto alla Roma”.

Dal primo luglio a chi affiderebbe la panchina?
“A Ranieri”.

Ranieri non ne ha alcuna voglia.
“Lo so ma sarebbe la scelta migliore. In alternativa mi auguro che venga ingaggiato un allenatore che conosce il campionato italiano. Meglio non inventarsi cose strane, perché ho una certezza assoluta”.

Sarebbe?
“Se arrivano i ritocchi giusti che colmano le lacune nell’organico, la Roma sarà competitiva già dall’anno prossimo”.

Per cosa?
“Per lo scudetto”.