Corriere della Sera (M. Ferretti)De Rossi. Sempre De Rossi. Solo De Rossi. Sono mesi, ormai, che davanti ai microfoni, prima e/o dopo una partita, per conto della Roma si presenta l’allenatore. Sempre l’allenatore. Solo l’allenatore. Giusto così? Non esattamente, perché un allenatore è pagato per allenare e non per essere (anche) l’addetto alla comunicazione del club. In Casa Roma è dai tempi di Tiago Pinto (pensa te…) che a prendere ufficialmente la parola è sempre e soltanto l’allenatore. Chiamato (costretto?) a commentare mercato, arrivi, partenze, rifiuti, presunte beghe societarie e chiacchiere in ordine sparso e autorizzato soltanto se/quando gli resta un po’ di tempo a parlare di calcio.

Normale, tutto ciò? No. Il motivo? La strategia comunicativa dei Friedkin, che si può riassumere così: non comunicare. Al punto che Florent Ghisolfi, il responsabile dell’area tecnica, dopo quasi tre mesi dal suo arrivo nella Capitale non è stato ancora presentato. Si può campare anche senza aver ascoltato la voce del francese? Certo, ma non è questo il punto. Non c’è altro club al mondo, probabilmente, in cui l’importante è non parlare. O, se è proprio è necessario farlo, si delega il compito all’allenatore. Assurto al ruolo di parafulmine per ogni evenienza. Oggi all’ora di pranzo la Roma gioca a Genova, ma ieri in conferenza-stampa la parola Genoa è uscita dalla bocca di DDR soltanto tre volte.

Tre non una di più, perché l’allenatore era impegnato a fare il portavoce del presidente, dell’ad o soltanto del ds per rispondere alle tante domande extra Genoa. A ‘sto punto, non sarebbe meglio un silenzio stampa generale? Tanto, facendo due conti, non parlerebbe solo una persona. Cioè colui che verrà cacciato (in silenzio, chissà) se non arriveranno i risultati.