Pagine Romaniste (F. Belli) – Quarto derby della Capitale della storia, 24 maggio del 1931. La Lazio vince 2-1 e al minuto 87 un socio biancoceleste recupera il pallone e lo tira lontano. Il suo nome è Giorgio Vaccaro, passato agli annali come colui che rifiutò la fusione con l’Alba, la Fortitudo e il Roman che avrebbe dato vita all’Associazione Sportiva Roma. “Colui che per viltade fece il gran rifiuto” insomma, anche se poi questa si è dimostrata una colossale balla. Vaccaro non era categoricamente contrario alla fusione, come dimostrato da una sua lettera pubblicata da “Il Tevere” il 15 giugno del 1927: “A me premeva, quindi, solo rettificare due punti sostanziali che dimostrano chiaramente come la richiesta di trattative di fusione fatta da Foschi (Italo, primo presidente della Roma ndr) rimase senza conclusione non per volontà della Lazio, la quale anzi fu sorpresa dall’improvvisa e non giustificata resipiscenza, dovuta evidentemente ad altre ragioni che non occorre qui ricordare”. Nessun rifiuto quindi, l’accordo s’aveva da fare ma non si è trovato un punto di contatto. Ma torniamo a quel 24 maggio del 1931: Vaccaro, che tra le altre brutte cose era anche un pezzo grosso del Regime fascista, lancia via la palla per perdere tempo e i giallorossi si infuriano.
Il ceffone al gerarca e i primi passi a Piazza San Cosimato
Nasce un parapiglia tremendo e un uomo gli si avvicina lesto lesto assestandogli un bel ceffone. Solo l’intervento dei Carabinieri riuscirà a placare gli animi. Quell’uomo è Mario De Micheli, difensore della Roma da sempre. La leggenda narra che dopo quell’episodio abbia detto agli amici: “J’ho dato ‘na tramvata, j’ho allungato le ossa così tanto che ‘mo se po’ pure arrolà nei granatieri”. Un tipo fumantino e con l’animo testaccino, non a caso è anche citato nella canzone di Campo Testaccio: “De Micheli scrucchia che è ‘n piacere…”. Scrucchia, come ha raccontato la figlia Luciana, in trasteverino significa che passa sempre, anche se qualcuno prova a fermarlo. Perché lui sarà anche testaccino d’adozione, ma è nato a Trastevere e guai a dimenticarlo. Non a caso Il Littoriale ne parlava cosi: “Nato a Roma, è dei romani il più autentico rappresentante, poiché Trastevere è la roccaforte dei discendenti di Romolo e Remo, e De Micheli è trasteverino al 100%”. Il suo soprannome era “er faciolaro”, perché il padre aveva un magazzino di legumi a Piazza San Cosimato. Non era un granché dal punto di vista tecnico ma l’avversario, con le buone o più spesso con le cattive, lo fermava sempre. Hegel diceva che nel mondo nulla di grande è stato fatto senza passione. E quel ceffone si, è figlio di una grande passione chiamata Roma.