Ebrima Darboe si è raccontato in un documentario su FIFA+, “Rome’s Adopted Son” (il figlio adottivo di Roma). Il calciatore ha raccontato dell’infanzia in Gambia, dell’arrivo in Italia, del passaggio in Primavera e dei suoi allenatori. Queste le sue parole:
“La Roma è una famiglia e mi ha aiutato tanto. Mi hanno fatto capire quanto credevano in me spingendomi a continuare la scuola. Gli devo tanto”.
L’infanzia in Gambia
In Gambia era diverso, stavo con amici in campi senza scarpini, scalzi… Giocavamo quasi tutto il giorno e ci divertivamo un sacco, veramente bello. Ma i ragazzi lì in Africa rischiano la vita, perché vai a scuola, finisci la scuola e non hai un lavoro. Giochi a calcio, o fai qualcos’altro, dopo un po’ smetti, perché non vai avanti. Io sono partito per l’Italia senza avvisare i miei genitori perché se lo avessero saputo non mi avrebbero lasciato andare data la mia giovane età. Ma ho deciso di partire per cercare una vita migliore. Sono partito col pallone perché mi piaceva sempre averlo con me, ma nel viaggio è durato poco. Non consiglierei a nessuno di intraprendere questo viaggio. Sentivo dire “Vedi questo è partito, ora è in Italia, quest’altro è in Spagna”. Ma non pensavo che fosse così pericoloso. Una volta arrivato tornare è impossibile. Di recente ho creato una fondazione, un’accademia con cui posso aiutare i ragazzi del mio Paese per aiutarli ad avere un futuro migliore. Cercheremo di mettere tutto a disposizione per far crescere i ragazzi.
Sui suoi allenatori, da Alberto De Rossi a Fonseca e Mourinho
E’ stato come un padre. Mi ha aiutato tanto nella crescita. Sono arrivato trequartista e poi con lui ho giocato mezz’ala e mediano. Fonseca mi ha regalato un sogno facendomi esordire. Grazie alla Primavera ho capito cosa significava il derby. Prima di quello in prima squadra il mister mi ha consigliato di giocare semplice ed è andata bene. Mister Mourinho è un grande e ti dà molte motivazioni, anche fuori dal campo. A noi giovani serve uno così, è duro ma ti fa crescere.