Il Tempo (M.Gallo) – Oggi è il giorno del derby. Sarà, come previsto, con le curve vuote ma il questore Nicolò D’Angelo apre a una possibile svolta. «Noi non indietreggiamo di un metro ma siamo pronti a rivedere le nostre posizioni se i tifosi accetteranno un percorso di legalità e trasparenza. E il segnale che gli ultras danno di non andare allo stadio aiuta poco». Per D’Angelo l’obiettivo è riportare all’Olimpico le famiglie, garantire uno spettacolo sereno a tutti e avere «anche noi un tifo goliardico ma sano» come accade in quasi tutti i paesi d’Europa. La «ricetta» del questore di Roma, uno che la città la conosce bene dai tempi della Banda della Magliana, è semplice: «Rigore ma anche apertura al dialogo. A noi interessa riportare allo stadio la tifoseria ma a patto di un cambio di marcia».
Lei disse che uno dei suoi obiettivi era far giocare il derby in notturna. Invece oggi si giocherà di giorno e con le curve semivuote. Come mai? Cosa è cambiato?
«Non ho mai detto questo. Ho detto che fino a quando non cambiava la forma mentis di tutti gli attori, dai tifosi alle società, non si poteva fare il derby di sera».
Perché?
«A causa dell’atteggiamento violento delle frange estremiste. Di giorno i rischi si riducono, mentre i derby in notturna hanno causato sempre grossi problemi».
Le barriere alle curve sono un’idea sua o del prefetto Franco Gabrielli?
«Sul tema tra me e Gabrielli c’è perfetta sintonia. Io l’ho proposto, e lui l’ha condiviso. Sono misure varate dall’Osservatorio del Viminale e applicate in tutta Europa. Perché noi no? Le curve non sono territorio off limits, terra di nessuno. Lo stadio è dei cittadini, delle famiglie. Nessuno, ripeto nessuno, deve avere paura di andarci. Qui si è perso il senso della misura e della legalità. Quindi è necessario impostare alcune regole e farle rispettare con rigore. Vogliamo un tifo pacifico, il resto non è tifo…».
Quali sono i principali problemi delle curve?
«Le pare normale che uno steward non possa avvicinarsi perché non gli viene permesso da un gruppo di facinorosi? Non capisco questo pianto greco sulle curve, dove non vengono lasciati sgombri neppure i corridoi d’emergenza. Quelle misure andavano adottate perché la situazione era arrivata a un punto di rottura».
Secondo voi c’è anche qualcuno che lucra sulla «gestione» delle curve…
«Tutti sanno che ci sono interessi e anche ricatti da parte di frange ultrà alle società. A tale proposito, la Lazio ha fatto una battaglia e la Roma sta collaborando. Ora il percorso virtuoso potrà sembrare duro o “cattivo”, ma solo così si possono impostrare le regole del vivere civile: ciascuno al proprio posto, niente fumogeni, niente petardi, niente striscioni non autorizzati. Tutto ciò che va oltre questa linea Maginot è inaccettabile, perché mette a rischio l’incolumità degli spettatori».
Le barriere ci saranno anche l’anno prossimo? Quali segnali dovrebbero mandare le curve per vederle eliminate?
«Ho usato il termine “rigore”, ma non c’è alcun muro contro muro. Abbiamo detto: riportiamo le regole all’Olimpico, sconfiggiamo i violenti e poi ne riparliamo. Tutti noi vorremmo stadi senza barriere. Possiamo anche rivedere il discorso delle barriere, ma prima dobbiamo avere la certezza che il concetto di legalità sia stato assimilato e i tifosi ci devono dimostrare che hanno capito. Altrimenti non cederemo. Finora ci sembra che questo percorso non sia stato accettato. La nostra “offerta”, comunque, continua ad essere valida. Vedremo…».
Si lamenta che le barriere siano solo all’Olimpico. C’è un motivo?
«Molti stadi non hanno gli stessi problemi logistici dell’Olimpico. Ad esempio, a Milano una curva è sotto e una sopra, quindi le tifoserie sono già divise. Inoltre, i supporter di Roma e Lazio spesso sono stati protagonisti di episodi di violenza. Infine, c’è anche un problema di sicurezza per il numero di persone presenti: dovrebbero essere al massimo ottomila, invece arrivano a diecimila e, se un agente si avvicina, subito si scatena l’assalto della tifoseria».
C’è stato un effetto positivo delle barriere?
«Voglio ricordare che, da quando ci sono le barriere, gli incidenti in occasione del derby sono scesi praticamente a quota zero. Nei due derby precedenti a quello di novembre scorso, cioè quelli di gennaio e di maggio, abbiamo avuto scontri con feriti prima della partita, abbiamo sequestrato diverse molotov e quattro coltelli, ci sono state due persone ferite da armi da taglio e quattro agenti sono finiti all’ospedale. Sono stati accesi 90 fumogeni e 58 petardi. È vero che a novembre c’erano diecimila spettatori in meno, ma gli incidenti, se vuole una percentuale, sono diminuti del 300 per cento».
In occasione della partita Roma-Real molti hanno protestato per le lunghe attese agli ingressi a causa dei controlli di sicurezza. Erano necessari?
«Certo! Per noi è un dovere, specialmente con l’allarme-terrorismo in corso, applicare determinate misure. Nel caso specifico, forse, si poteva aprire qualche varco in più. Ma è anche vero che c’è la brutta abitudine di arrivare all’ultimo momento. In ogni caso, il regolare svolgimento della manifestazione sportiva è stato garantito».
Passiamo alla criminalità. La percezione è che sia diffusa, ma i vostri dati vanno nel senso di una diminuzione. Qual è la realtà?
«I reati nel primo trimestre di quest’anno sono diminuiti del 25 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015. Questo è anche conseguenza dei 400 uomini in più che ci ha concesso il Viminale, della loro razionale distribuzione sul territorio e del livello di controllo sullo stesso. In molte aree periferiche questi controlli sono stati migliorati. Poi c’è un monitoraggio attento, continuo e “scientifico” della città sulla base dei dati raccolti, e l’integrazione tra le forze in campo, da noi ai carabinieri, fino alla polizia locale. Non ultimo aspetto positivo è la presenza dei militari di Strade Sicure, che ci ha permesso di recuperare risorse. In questo modo, ad esempio nel Reparto Volanti, abbiamo venti pattuglie in più per ogni turno di 24 ore. E si sentono. Abbiamo anche rinforzato l’organico dei commissariati, in particolare di quelli periferici e di quelli inseriti nelle aree giubilari. E, anche qui, i dati ci confortano».
Che cosa avete fatto per frenare la piaga delle occupazioni abusive?
«Nell’ultimo anno gli sgomberi sono passati da 138 a 101 e, negli ultimi due mesi ci sono stati otto controlli su occupazioni abusive con l’identificazione di circa 2.000 persone. Da tempo, inoltre, non consentiamo più alcuna occupazione e, se avviene, sgomberiamo subito i locali per evitare situazioni consolidate. Ma è un lavoro che va fatto con la testa e bisogna anche trovare alloggi per le famiglie con minori, perché non le si può sbattere in strada. Le manifestazioni e i cortei, poi, sono diminuiti del 70 per cento e, per quanto riguarda i secondi, li consentiamo solo il sabato e unicamente sopra un certo numero di persone. Così da evitare ai romani disagi eccessivi».
Roma è a rischio di attentati terroristici?
«Nessuno ha la bacchetta magica per sapere se, dove e quando colpiranno, però sappiamo di essere un Paese ad alto rischio. Roma è un’enorme cassa di risonanza mediatica ed è anche la culla della cristianità. Quindi, sarebbe sciocco dire il contrario. Non vogliamo sottovalutare il pericolo ma neppure fare allarmismo. Le informazioni dall’intelligence, anche a livello internazionale, sono costanti ed efficaci. Abbiamo perciò potuto mettere in campo un buon dispositivo. Siamo in Allerta 2, cioè quella che contempla un rischio concreto. Devo, però, aggiungere che al momento non abbiamo segnali specifici. Bisogna fare attenzione ma la vita deve continuare. Altrimenti saremmo già sconfitti dal terrorismo. Per fortuna, possiamo contare su una grande collaborazione da parte dei cittadini, che segnalano e chiamano puntualmente, e nella Capitale c’è molta più integrazione che in altri Paesi. Da noi non ci sono banlieu e ghetti per immigrati. E nelle periferie non esistono zone franche: la polizia entra ovunque. Come ha potuto constatare anche lei, le nostre auto la notte girano con i lampeggianti accesi. Il messaggio di quelle luci è chiaro per tutti: noi ci siamo».