Il Messaggero (S. Carina) – Nella Roma degli equivoci, tattici e tecnici legati ad un mercato a dir poco opinabile, Juric va messo un attimo da parte. Catapultato come è stato in corsa a Trigoria, gli va dato il tempo di capire e di abituarsi ad un mondo nuovo. È chiaro che deve fare in fretta ma per alcune cose è inevitabile pagare lo scotto. Un esempio? Anche la semplice gestione di 5 partite in due settimane nella sua carriera è un unicum. E con questo il turnover.

Nei 15 anni di panchine non gli era mai accaduto di dover ruotare in un lasso di tempo così ristretto la rosa. Così si spiegano i tre calciatori cambiati tra Udinese, Bilbao e Venezia e poi, di colpo, i sei tutti insieme l’altra sera contro l’Elfsborg. Tentativi di gestire al meglio una squadra che in molti ruoli ha dei buchi. Dagli esterni al vice Dovbyk (che oggi è Shomurodov per il quale è stato trovato un accordo per estendere l’intesa sino al 2027) c’è solo l’imbarazzo della scelta. Juric non lo ammetterà nemmeno sotto tortura, volendosi giustamente giocare le sue carte, ma il nodo è tutto qui. E si riverbera inevitabilmente sui singoli.

Questa era una squadra costruita male per De Rossi, che era riuscito tra mille difficoltà a mettere bocca su determinate scelte; figuriamoci per il tecnico di Spalato, arrivato a giochi fatti. Sono tre mettendo da parte per un attimo Dybala, i casi più eclatanti: Abdulhamid, Soulé e Hummels. Nonostante Ghisolfi abbia dichiarato come la Roma abbia 7 esterni, i titolari sono due (Celik e Angeliño) che lo scorso anno erano riserve. E a forza di giocare, è inevitabile che paghino dazio. Così si spiega la necessità – con Saelemaekers ai box – di testare il saudita. Che definirlo anarchico è un complimento.