La Gazzetta dello Sport (C.Zucchelli) – Dodici gennaio 2012: in Olanda esce un articolo secondo il quale il giovane «Kevin Strootman, futuro capitano della nostra nazionale» sarebbe a un passo dal Milan. Kevin, scrivevano i media olandesi, avrebbe convinto la dirigenza rossonera che sarebbe andato a vederlo un paio di volte dal vivo. Due settimane più tardi, una frase strappata a Mino Raiola, vicino al Milan e soprattutto al calcio di Amsterdam, chiudeva però i giochi: «Il Milan non lo compra, il Psv non lo vende». Niente di fatto, il ragazzone – come lo chiamò Braida una volta – non sarebbe andato nella società che degli olandesi aveva fatto uno stile di gioco e di vita e non avrebbe ascoltato i consigli di Van Bommel, che pure a Milano lo avrebbe spedito volentieri.
MAGLIE E TELEFONI – Strootman rimase un’altra stagione al Psv, fino all’estate del 2013, quando Sabatini e Garcia lo tempestarono di chiamate per convincerlo a sposare il progetto di una Roma che doveva ricostruirsi dopo il 26 maggio. La sua storia, quel poteva essere e non è stato che fa parte del calcio da sempre e per sempre, ricorda da vicino quella di Edin Dzeko che tre anni prima della corte del Milan a Strootman aveva addirittura ricevuto a casa una maglia di Ronaldinho per salutare il Wolfsburg e diventare rossonero. Galliani aveva convinto Berlusconi e aveva convinto lui – che infatti firmò un precontratto -, ma non aveva fatto i conti con il club tedesco che, dopo un sì a parole in primavera, in estate fece marcia indietro.
IL MITO – Una delusione, per Edin, cresciuto nel mito dello Shevchenko che segnava a raffica e incantava tutta l’Europa. Per Edin l’ucraino era un idolo vero, come per la maggior parte degli attaccanti dell’Est nati intorno agli Anni 90: «Guardavo continuamente il campionato italiano – ha raccontato Dzeko – e lui era il mio idolo. Non mi stancavo mai di vedere le sue partite, era il numero uno per me». Lo era talmente tanto che lo scorso anno, durante un’intervista con Szczesny – nel senso realizzata da Szczesny -, Edin ci ha tenuto a ribadire come per lui Shevchenko fosse «senza dubbio più forte anche di Henry». Da tifoso dell’Arsenal il portiere polacco cercava di portarlo dalla sua parte, ma Edin ha mantenuto il punto.
CERCHIO CHIUSO – E lo mantiene ancora adesso, che pure in Serie A, anni dopo il suo idolo, è lui il protagonista. Sette gol in 7 partite, in campionato è a quota sei senza rigori, meglio di lui solo Dybala e Immobile, che però calciano dagli 11 metri. Mancando Perotti, domani eventualmente dovrebbe toccare a De Rossi perché Edin dal dischetto non è freddissimo e gli occhi di Shevchenko, inquadrati dalle tv di tutto il mondo nella notte in cui il Milan vinse la Champions ai rigori contro la Juve, forse non li avrà mai. Era il 2003, Dzeko era un talento delle giovanili dello Zeljeznicar pronto al salto in prima squadra, che avrebbe fatto la stagione successiva, e di lui già si iniziava a parlare. L’Italia gli aveva messo gli occhi addosso, lui li aveva sempre avuti per la Serie A ed era convinto di arrivarci presto. Invece, girando per l’Europa tra Repubblica Ceca, Germania e Inghilterra, ha dovuto aspettare più di 10 anni.