C’era una sola cosa che avrei voluto sentire ieri da Rudi Garcia. E quella cosa Rudi l’ha detta. «Il derby non si gioca, si vince».L’ha detto bello, duro, scandito, in faccia a una marea di piattole moleste che lo incalzavano conquesto blabla del 26 maggio. Non sapere è la sua forza. Niente scheletri e niente fantasmi. «Un derby si vince». Voilà, il barbaro è servito. Il legionario, quando parte per una guerra, non ci va leccandosi le ferite o, peggio, ricordandole.
Ci va per vincere. E basta. Brutale? No, necessario. E, se anche perdi, la prossima volta tornerai lì semplicemente per vincere. Senza frignare come una mammoletta su quello che è stato. Garcia, De Sanctis, Maicon, Benatia, Strootman, Ljajic, Gervinho, Borriello. Loro non c’erano. Chi abusa dei ricordi è condannato all’infelicità. Intelligente è dimenticare. Se la memoria non c’inganna, dev’essere successo qualcosa di molto orrendo il 26 maggio di non so quale anno. Non so bene cosa, ma so che fa male. Napoleone incoronato al Duomo? Un terremoto in Giappone? Un Boeing esploso sui cieli della Thailandia? Era il tornado che sconvolse l’Illinois e uccise non so quante persone? O forse, ma certo, sì, era la P2, lo scandalo massonico che incendia il Paese e ammazza civilmente un mucchio di potenti?
Oggi la Roma all’Olimpico ritrova la sua curva. Si può continuare a giocare a moscacieca con la memoria quando per novanta minuti hai la tua curva che ti soffia alle spalle? Dai, siamo seri. No che non si può. E poi ci sono troppe cose da festeggiare tutti insieme. Il contratto di Totti che lo fa eterno, Jim Pallotta in tribuna, forse anche Italo Zanzi, la rinascita di De Rossi, il primo derby di Kevin, faccia da derby, la rete di Borriello, il primato in classifica da solista, quattro su quattro, che non è mica detto del Napoli che vinca a Milano.
Corriere dello Sport – G.Dotto