Il Messaggero (A. Angeloni) – È un po’ come svegliarsi e accorgersi che sta ricominciare il giorno precedente. Dall’addio forzato di De Rossi all’arrivo di Juric, è cambiato poco e niente nella Roma. Che dà l’impressione di essere ancora senza meta, senza un percorso tracciato e che la crisi non finisca mai. La sfida con l’Elfsborg ha evidenziato i soliti limiti, sempre più strutturali: c’è una Roma di titolari e un’altra di alternative, piuttosto lontane dal valore dei primi e ce ne siamo accorti in Svezia.
L’attenzione verso la Coppa, quest’anno, appare minore rispetto agli anni precedenti: l’obbligo di andare in Champions, probabilmente, condiziona la psiche dei calciatori e forse anche dell’allenatore, chiamato a riportare in alto la Roma, un’impresa non facile. Ma a Juric poco si può chiedere, dal momento che è arrivato da poco
Vista la passata frenesia delle decisioni da parte dei Friedkin, ora la gente si aspetta di tutto, Juric una cosa l’ha capita l’altra sera a Boras: non si possono lasciare fuori, e tutti insieme, calciatori che fanno – spesso e volentieri – la differenza. Pellegrini, Dovbyk, Mancini, lo stesso Dybala, non si possono regalare a nessuno, nemmeno all’Elfsborg, specialmente se i loro sostituti non vengono messi nelle condizioni di dare il meglio
La Roma è stata costruita sulla tecnica, sul palleggio, su certe finezze stilistiche, e qui tiriamo in ballo calciatori come Baldanzi, Soulé, come Koné e Paredes, abili a proporre un certo tipo di calcio.