Sempre eccitante essere stupiti. Altro che “Open Day”, doveva essere il “Judgment Day”, il giorno del giudizio. Si temeva un Olimpico semideserto e sibilante. I corvacci di casa a Trigoria lo davano per certo. Che la militanza degli astiosi avrebbe prevalso anche stavolta. E invece no, sorpresa, tanta gente, più dell’anno zemaniano e, credetemi, per quelli che non c’erano, l’emotività dei giorni migliori. Momenti molto romanisti.
Quando lo stadio, per quanto dimezzato, diventa un’unica pompa cardiaca e poi una mongolfiera che ti porta in una stratosfera di trenta, forse sessanta secondi, ma sono quei secondi in cui il padre si confonde con il figlio e viceversa. Tutto si confonde. Ragazzi stramilionari, per quanto abituati con tutto il callo del caso a uscire da una maglia per entrare in un’altra come si fa con le mutande di casa, devono tenersele appiccicate addosso certe immagini come una bellissima lebbra, perché parlano di una cosa troppo più grande di noi, di loro e soprattutto di Mino Raiola.
Serata a suo modo memorabile. Nonostante la “bestiale delusione” di fine maggio, che ora basta, non se ne può più, c’è una grandezza ma anche una mediocrità nella persistenza del lutto (bello e arguto lo striscione “Non saper rimediare a una sconfitta è peggiore della sconfitta stessa”, ma ora basta con questa mediocre sconfitta, puntiamo, dannazione, se proprio dobbiamo, a una sconfitta più grandiosa, anche se da parte romanista non sarebbe poi così banale vincere).
Serata che ha raccontato in pieno lo struggente ventaglio del tifoso romanista di oggi, deluso, speranzoso, illuso e disilluso, incattivito e smanioso di festa, in una parola: frastornato. Un tifoso perso da più di due anni nel più crudele ottovolante. E lo sconforto che rischia di diventare sconfortante, oltre che parecchio tossico. Una depressione che non si registrava nemmeno quando a Trigoria girava il fantasma del tribunale fallimentare. E pure, stupore illimitato e illeggibile del tifo, più applausi che fischi, più ovazioni che sarcasmi.
Massimo rispetto a Rudi Garcia per come si sta manifestando. La sua grandezza non sta nell’aver suggerito a qualcuno di noi di essere grande, ma nell’aver confermato di esserlo dopo averlo suggerito. S’è infilato tutto intero, temerario o incosciente, con la sua bella faccia da legionario nel pentolone bollente di una città cannibale. Non sappiamo come andrà a finire, sappiamo di avere un grande allenatore. Ci ho messo a suo tempo la mano sinistra nel fuoco, ora ci metto anche la destra. Quando ha parlato in buon italiano e perfetto romanista, sono partiti dei fischi ma non erano per lui, in quel moneto sull’Olimpico passava l’ennesimo trasvolatore neodannunziano, questa volta laziale. Le cose più belle? L’ovvia ovazione al Capitano e quella meno scontata a De Rossi. Il tributo ai due guerrieri, Maicon e a Strootman. Quella più malinconica? Lamela che sfila insieme ai suoi forse già ex compagni e il tweet della fidanzata che lo scorta a evocare la farsa. Farsa su farsa (ma quanto sono feroci le donne/twitter?
Corriere dello Sport – G.Dotto