Arrigo Sacchi, come se la passa il calcio italiano? Sono in tanti a sostenere che ormai sia allo sbando.
«Allo sbando non direi. Anzi, noto qualche timido tentativo di abbandonare la nostra tradizione per aggiornarci ed evolverci. Il calcio si gioca in undici, ma le modifiche sono continue. Noi amiamo molto questo sport, lo pratichiamo, siamo stati anche vincenti, abbiamo speso molto. Per noi il calcio è sempre una rivendicazione sociale più che uno spettacolo sportivo…».
In che senso?
«Ha presente quando una squadra italiana gioca in Germania? Bisogna vincere per i nostri emigranti, per l’onore…».
Tornando alla domanda iniziale, come siamo messi allora?
«Rispetto alla situazione generale si gioca fin troppo bene. Da noi gli ambienti sono litigiosi e violenti, a livello dirigenziale non c’è pianificazione e anche i programmi tecnici sono confusi».
Quindi la vita per un allenatore è impossibile.
«Le squadre hanno tanti padri, ma gli allenatori non sono maghi. Mi spiego con un esempio: Spielberg è un grande regista o no? Bene: se vuole fare un film drammatico e poi gli danno dei comici dove volete che vada? In Italia sono poche le società che sanno aspettare, qui se perdi due partite ti cacciano. Così un allenatore si adatta».
Però, lo diceva lei prima, qualcosa si muove.
«In effetti c’è qualcuno che cerca di uscire dagli schemi di un calcio prudente e pauroso. La nazionale, ad esempio, sta proponendo un gioco più divertente e allegro, gioca da protagonista. Anche la Juve sta cercando di uscirne. Lunedì sera ho visto Pescara-Verona. È drammatico che le squadre di Zeman siano ancora quelle che creano più entusiasmo tra i tifosi, anche quando non vincono. Significa che c’è molto da lavorare. La verità è che continuiamo a essere individualisti, egoisti ed esibizionisti».
Alludeva alla rivoluzione di Conte alla Juve.
«Conte è bravissimo, anche se è difficile fare tutte le cose nuove subito, in un solo anno. Per giocare bene la Juve deve esprimersi a dei livelli cui la maggior parte dei suoi giocatori non è abituata, quindi con un consumo di energie e di stress enormi».
Ma i bianconeri sono da scudetto?
«Se perdono quel propellente che è il gioco fanno vedere limiti di esperienza e di qualità. La Juve difficilmente vincerà non giocando bene. Altri invece potranno vincere grazie ai propri solisti».
Allude al Milan?
«Non solo. Sono tante le squadre che puntano sulle individualità».
Già che ci siamo dica la sua sui rossoneri.
«C’è un dato che deve fare riflettere: il Milan ottiene ottimi risultati contro le formazioni medio-basse, meno buoni contro le squadre migliori. Sembra forte con i deboli e poco forte con i forti».
E questo che significa?
«Significa che non si può pensare che un solo giocatore, per quanto bravo come Ibrahimovic, possa risolvere tutti i problemi. Il Napoli aveva Maradona, che era il più grande di tutti, ma non ha mai vinto la Coppa dei Campioni. Quando il livello degli avversari cresce devi essere supportato dal gioco, dal movimento corale di tutta la squadra. Per perfezionare il grande lavoro fin qui svolto, Allegri dovrà arrivare a questo. Allora il Milan diventerà competitivo anche a livello internazionale».
Che idea s’è fatto della vicenda Pato-Tevez?
«Mi sembrava strano che a Berlusconi piacesse Tevez. Uno che ama Ronaldinho alla pazzia difficilmente ama Tevez e lascia partire Pato».
Già, Pato.
«Credo sia un grande giocatore, ma avrebbe fatto bene a lasciare il Milan, per più di un motivo. Molti calciatori, e credo che Pato sia tra costoro, sono sensibili e hanno bisogno di percepire la fiducia attorno a sé. Però un allenatore ha diritto di preferire un giocatore piuttosto che un altro. I club italiani dovrebbero imparare a prendere un allenatore e a tenerlo per 4-5 anni. Invece in serie A ne sono già cambiati 12. Dove vogliamo andare continuando così?».
Anche l’Inter è entrata in questo vortice. Ranieri è il quarto tecnico dopo la partenza di Mourinho.
«Errare è umano, ma perseverare è diabolico. Al di là dell’Inter, il discorso è generale. Se una cosa del genere capita troppo spesso, questi dirigenti dovrebbero farsi un esame di coscienza».
Evidentemente Zamparini ha fatto scuola. Prima dell’inizio del campionato ha cacciato Pioli per promuovere Mangia, poi ha ingaggiato Mutti e ora sta meditando di riabilitare Mangia.
«Questo fa capire la superficialità di certi dirigenti. Ricordo che quando stavo per lasciare il Milan Montezemolo voleva che io andassi alla Juve, ma Berlusconi mi disse: se lei va alla Juve mi dà un grande dispiacere. Alla fine la Juve prese Trapattoni. Cercavano me e poi è arrivato il Trap. A occhio e croce siamo un po’ diversi. La cosa importante è prendere giocatori funzionali al calcio dell’allenatore, però se l’allenatore lo cambi ogni anno va a finire che un giocatore lo prende uno, uno lo prende un altro, uno il presidente e uno il figlio del presidente. Al confronto la Torre di Babele è una cosa da ridere».
L’Inter è reduce da sei successi consecutivi. Un exploit.
«Ranieri è una persona esperta, matura, con una capacità di adattamento straordinaria, ed è riuscito a fare subito una cosa importante creando un gruppo con forti motivazioni. Ora vedremo se i nerazzurri riusciranno a giocare un calcio diverso. Fino ad ora il loro è stato un calcio sparagnino, fatto di individualità, non hanno giocato un calcio che potesse piacere anche ai non tifosi dell’Inter, un calcio armonioso, un calcio intonato».
È vero che lei tifa Udinese?
«Si, perché vorrei che anche i poveri potessero sognare. L’Udinese è un club competente, con un bilancio sano. Pensi se al Milan avessero tolto Ibrahimovic e Thiago Silva. Loro hanno perso Sanchez, Inler e Zapata e sono ancora protagonisti. Giocano un calcio più di livello nazionale che internazionale ma lo fanno benissimo. Un solo appunto: troppi stranieri».
E la Lazio?
«Squadra esperta, equilibrata. Con un grande come Klose».
Che era riserva in Germania e che qui invece fa sfracelli. Non è la riprova dello scarso livello del nostro calcio?
«No, il nostro livello non è così basso. Abbiamo la possibilità di portare Milan, Inter e Napoli ai quarti di Champions League: sarebbe un capolavoro. La nazionale si è qualificata all’Europeo in modo netto e convincente, siamo diventati competitivi anche a livello giovanile. Però le società non investono, servono settori giovanili con risorse maggiori e tecnici più aggiornati. Nella mia qualità di coordinatore delle nazionali giovanili vedo ragazzini di 14-15 anni che si fa fatica a crescere: invece dei compagni seguono sempre l’avversario. Per loro il calcio è uno sport individuale».
Il progetto Roma sta decollando.
«Interessante, in una città dispersiva. Il progetto prevede che la squadra abbia l’iniziativa e sia padrona del gioco. È così che si migliora».
Il Napoli invece in campionato procede a singhiozzo.
«Il Napoli gioca all’italiana…».
Attento a quello che dice, perché poi Mazzarri si offende.
«Sicuro? La cosa migliore che loro fanno sono le ripartenze, non il possesso palla. Per i loro difensori il riferimento principale è l’avversario, non il compagno o la palla. Il Napoli esalta il gioco all’italiana e Mazzarri è un allenatore tra i più bravi per la chiarezza delle idee. Non si deve offendere. È un tipo in gamba, anche se fa un calcio diverso».
Arrigo, lei da anni porta avanti con tenacia le sue idee, che alla fine degli anni Ottanta rivoluzionarono il nostro modo di essere. Non teme di diventare monotono?
«Sicuramente sono coerente. Agli inizi esprimevo dei concetti che non erano condivisi, ma se oggi mi fanno scrivere commenti e mi fanno parlare in tv significa che ora le mie idee hanno un’audience diversa. Io ho sempre sognato di avere squadre che fossero protagoniste e non comprimarie, che fossero padrone del campo e del gioco. Vuole che gliene racconti una?».
Dica…
«Ricordo che una volta con il Milan vincemmo 2-0 a Pescara, ma il gioco non era quello che volevo io e avevo un magone così. Allora Galliani mi disse: Arrigo, a volte ci si può permettere di vincere anche giocando in qualche modo. Forse è stato questo perfezionismo che mi ha accorciato la carriera. E comunque quel mio Milan viene considerato una delle prime tre squadre al mondo di tutti i tempi. E se non è riuscito lui a smuovere il calcio italiano…».
Alla fine chi vincerà lo scudetto?
«La favorita è la squadra che ha le migliori individualità. In Italia vince chi non prende gol e ha i giocatori più importanti. In Europa invece vince chi ha il collettivo migliore. Quindi per lo scudetto dico Milan, ma attenti all’Inter, anche se la Juve è la squadra più intonata».
Corriere della Sera – Alberto Costa
Corriere della Sera – Sacchi: “Progetto Roma? Interessante, in una città dispersiva”
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