La Repubblica (G.Vitale) – Si preparano alla guerra, i consiglieri grillini. Stanchi di dover fare solo i passacarte, stanchi di avallare decisioni prese sempre altrove, stanchi soprattutto di essere bersaglio della base che, sulla costruzione dello stadio della Roma, lancia strali a destra e a manca, chiamandoli traditori. Una rivolta che, in fase embrionale, si è materializzata l’altro ieri pomeriggio in aula Giulio Cesare, quando la presidente della commissione Urbanistica Donatella Iorio e il capogruppo Paolo Ferrara hanno riferito agli eletti i termini del preaccordo appena raggiunto con i vertici giallorossi e il vicesindaco Luca Bergamo riuniti nel salone accanto. Ed è poi esplosa nel pomeriggio di ieri, nel corso dell’interminabile incontro convocato dalla sindaca Raggi per approfondire il dossier e individuare il dopo-Berdini che arriverà «entro il weekend, con la nomina di due assessori, uno ai Lavori Pubblici e uno all’Urbanistica», disegna la road map il consigliere Enrico Stefàno.
È furibonda, la maggioranza cinque stelle. Talmente arrabbiata da arrivare a prefigurare un’astensione di massa, qualora la delibera di variante urbanistica dovesse approdare in aula, per affossarla. Lo aveva già detto chiaro, Iorio, nel corso del summit con la Roma: «I tagli alle cubature sono minimi, così mettete in difficoltà il Movimento. Per cui se alla fine ci dovesse essere un voto in aula, potrei valutare di uscire. E con me tanti».
Hanno paura, i grillini. Temono «una richiesta di danni milionaria, che cadrebbe tutta su di noi», dicono, «a nostra insaputa per di più», ironizza qualcuno, con chiaro riferimento alle polizze di Salvatore Romeo. Indispettiti soprattutto per non essere stati mai tenuti al corrente di nulla: «Chi ha deciso il cambio di linea su un progetto che ci ha sempre visti contrari?», si chiedono. «Adesso pretendo che Grillo, Di Maio e Di Battista vengano a spiegarci in faccia perché lo stadio si deve fare, sono stufa di subire scelte calate dall’alto», sbotta Teresa Zotta. Spingendosi, in tanti, a «mettere in dubbio persino la nostra fiducia in Virginia», rimarca Giuliano Pacetti. Così fotografando una spaccatura che vede la giunta compatta sul fronte stadista, insieme a non più di un paio di consiglieri: tra questi Calabrese e Terranova. Mentre il fronte opposto è ormai un fiume in piena che si ingrossa ogni minuto di più.
Ci prova la sindaca a placare gli animi. Spalleggiata dai tutor Fraccaro e Bonafede, che di tanto in tanto escono dalla Sala delle Bandiere per informare i vertici del Movimento («Qua è un casino», sussurra Bonafede al telefono), si arrampica sugli specchi per dire che non c’era alternativa. Come ha appena scritto su Fb. «Non c’è ancora alcun accordo con la società», giura Raggi ai consiglieri e sui social. «La trattativa, visti gli interessi in gioco, è molto delicata, perciò è stato mantenuto il riserbo, anche per evitare speculazioni esterne. Ma voi non dovete dimenticare che il progetto di Tor di Valle noi lo ereditiamo dal sindaco Marino e dalla maggioranza Pd che, nel loro stile, hanno pensato più agli interessi particolari che a quelli generali. Così, al nostro insediamento, ci siamo trovati con un progetto in fase avanzata, con una eccedenza di edificazione del 70 per cento in più rispetto a quanto previsto dal piano regolatore. Ma non ci sarà alcuna colata di cemento, ve lo assicuro». Chiaro il messaggio che si vuol far passare: «Abbiamo le mani legate, siamo costretti ad andare avanti».
Ma i consiglieri non si fidano. E alla fine sono tutti d’accordo almeno su un punto. Prima di qualsiasi altra mossa, si dovrà chiedere un parere all’avvocatura capitolina per capire bene i termini della questione: se è vero, come sostiene la sindaca, che si deve per forza proseguire e cosa invece si rischia ad annullare la delibera di Marino e a fermare tutto. Guai però a sgarrare, stavolta. Gli eletti sono pronti a salire sulle barricate. A farsi sentire. Come mai prima. Una ribellione che fa passare in secondo piano il primo punto all’ordine del giorno. La selezione dei curricula per la successione di Berdini. Che, aveva detto la sindaca in mattinata, «dovrà essere una persona che parli di meno e lavori di più». L’esatto contrario dell’assessore uscente.