La Gazzetta dello Sport (A. di Caro) – Con la scelta di Tiago Pinto di non rinnovare il suo contratto, chiudendo anticipatamente il rapporto con la Roma, i Friedkin perdono un dirigente giovane, capace, onesto e in costante crescita.
È durata tre anni la sua esperienza a Roma. Arrivò nel gennaio del 2021, a sorpresa e poco conosciuto, dal Benfica. Aveva soltanto 36 anni e nessuna esperienza in Italia.
La full immersion è stata immediata: Roma e la Roma, una palestra professionale e di vita affrontata con entusiasmo e serietà, senza farsi travolgere da una città che fagocita tutto e senza cambiare un carattere sobrio e poco incline a strizzate d’occhio.
Pinto ha cercato di capire in fretta un calcio complicato e una città meravigliosa in cui vivere, meno in cui lavorare.
Soprattutto per i d.s., visto il percorso breve degli ultimi protagonisti: da Monchi a
Petrachi.
Pinto in questi anni ha vinto una Conference, disputato una finale di Europa League e fatto molte cose buone nel mercato in entrata e in uscita, tallone d’Achille dei suoi predecessori. Ha ereditato una rosa ipertrofica, un monte ingaggi alto, giocatori in esubero che non se ne volevano andare. Lascia 44 milioni di utili. E nella sua gestione sono arrivati, con l’aiuto dei Friedkin e di Mou, i due colpi più importanti degli ultimi anni: Dybala (a zero) e Lukaku (in prestito).
Il primo anno è stato sfavillante, con Abraham pagato più di 40 milioni. Le ultime sessioni invece ricche solo di fantasia, equilibrismi, scommesse ma povere di soldi. Cartellini a zero, prestiti, giocatori da recuperare, investimenti ridotti al lumicino causa FFP. Non ha azzeccato tutto Pinto, ci sono stati anche acquisti sbagliati (da Vina a Shomurodov), scommesse perse (Sanches su cui ha messo la faccia), altre sfortunate (Wijnaldum), prestiti così così. Ma la squadra è sempre cresciuta nel valore: basta confrontare la rosa a disposizione di Paulo Fonseca con quella attuale.
Quello che Pinto però lascia è anche un ampio solco nel settore giovanile, nella riorganizzazione dell’area tecnica, nelle strutture.
Chi si ritrova a punto e a capo è la proprietà. Senza d.s., con un tecnico in scadenza, un’infinità di dirigenti cambiati, il miglior giocatore in prestito, un nuovo stadio ancora molto lontano. La Roma appare a un bivio tra una stagione che può ancora regalare gioie e un trofeo o l’ennesima rivoluzione.