La Gazzetta dello Sport (A. Pugliese) – Cinquantatré giorni in tutto, quasi due mesi è durata l’avventura di Ivan Juric alla guida della Roma. Un percorso che era iniziato anche bene, con due vittorie con Udinese e Venezia e un pareggio contro l’Athletic Bilbao e che invece è naufragato come una barca in balia delle onde in mare aperto. A dire il vero, nessuno a Roma aveva mai pensato che potesse essere un matrimonio felice. Troppa diffidenza nei confronti del tecnico, non dell’uomo. In un gruppo orfano di De Rossi. Juric è apparso subito un precario, uno di passaggio. Poi Juric ci ha messo anche del suo, insistendo su alcuni concetti che gli si sono ritorti contro. Ad iniziare da un modulo (il 3-4-2-1) e uno stile di gioco (uomo contro uomo) che la squadra ha rigettato quasi subito. Angelino braccetto N’Dicka centrale inamovibile, Hummels umiliato spesso e volentieri, Dybala costretto a fare il terzino sono solo alcune delle sue scelte ostinate. A cui poi si sono aggiunte la fiducia incondizionata a Celik, il rilancio a vuoto di Zalewski e Pisilli trequartista, in una posizione in cui non ha il campo che gli serve per rendere al meglio. Infine Koné mediano, lui che è sostanzialmente una mezzala.
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