Corriere dello Sport (M. Boccucci) – Lui riparte da un premio, quello intitolato a Giovanni Mauro come arbitro Can internazionale maggiormente distintosi nella stagione scorsa, che ieri mattina a fine raduno gli è stato consegnato dal presidente dell’Aia, Carlo Pacifici. Daniele Chiffi, 38 anni, della sezione di Padova, 88 partite in Serie A e 100 in B da quando nel 2013-2014 è stato promosso alla Can B salendo nel 2020-21 alla Can A, poi unificate. Alle spalle c’è il turbolento 3 maggio 2023, il pari di Monza-Roma con le frasi (tra cui “il peggior arbitro della mia carriera”, “avevo un microfono nascosto per tutelarmi”) costate a Mourinho multa e squalifica per le prime due giornate del prossimo campionato.
Con Chiffi il tecnico aveva già avuto contrasti il 18 settembre 2022: sconfitta dei giallorossi all’Olimpico contro l’Atalanta, Mou espulso e sospeso.
Cos’è rimasto di quelle scintille?
“Mourinho è un grandissimo allenatore, la sua storia parla per lui e non sta a me giudicarlo. In campo si può essere in disaccordo, ma se l’arbitro pure con l’ausilio del quarto uomo si rende conto delle proteste deve arrivare il provvedimento. Essere criticati fa parte del nostro mestiere, quella vicenda non mi ha tolto il sonno. Se fosse successo una decina di anni fa, appena arrivato, non ci sarebbe stata l’esperienza tale per gestire certe situazioni. Ora c’è. Non mi posso far condizionare, ho l’obiettivo di fare bene in ogni partita e migliorare. Poi, come in ogni ambiente lavorativo non si può andare d’accordo su tutto, fa parte della natura umana. Non mi sento di colpevolizzare Mourinho, siamo tutti uomini di sport e di campo. Nel momento in cui prendi le decisioni e sei convinto che sono giuste e assunte con onestà, non hai nessun tipo di problema. Mi guardo serenamente allo specchio”.
L’eccesso di proteste dalla panchina è un problema?
“Ci sono partite che già prima di cominciare si portano dietro storia e tensioni. La protesta in taluni momenti fa parte del contesto e un allenatore se vede qualcosa che non lo convince è portato genuinamente a reagire. L’importante è che si resti nel seminato, che dura quei cinque secondi. Poi si torna alla tranquillità nel rispetto dei ruoli. Ciascuno fa il suo, l’arbitro è costretto talvolta a prendere decisioni impopolari: sarebbe un errore non farlo e la fine del nostro ruolo. Mi critico anche da solo, si deve essere autocritici rivedendo gli episodi. Io riguardo tutta la gara perché mi dà spunti, la rivedo e rifletto su ciò che sarebbe stato meglio fare. Talvolta sbagliamo perché non abbiamo anticipato la lettura del gioco o siamo piazzati male”.
Cosa cambia quest’anno?
“Non ci sono modifiche regolamentari sostanziali, ma solo qualche chiarimento, disposizioni e raccomandazioni come quel le sulle persone esterne che dovessero entrare sul terreno di gioco in occasione di un gol. Si annullerà la rete se la presenza in campo avrà una reale influenza”.
Che stagione sarà?
“Il Var è una tutela per tutti. Nel momento in cui non riusciamo ad arrivare con i nostri occhi oppure siamo posizionati male, abbiamo uno strumento che permette di correggere la decisione sbagliata ripristinando la verità del campo. Le squadre sono contente perché si sentono tutelate e noi perché non abbiamo inciso. Iniziamo il settimo anno con il Var, siamo stati i primi a introdurlo e ogni anno si vuole utilizzarlo al meglio”.
Il Var può risultare troppo invadente?
“L’obiettivo è correggere l’errore, ci si aspetta che l’intervento avvenga quando è necessaria una valutazione sapendo che c’è un protocollo da rispettare”.
Qualcosa è cambiato nell’atteggiamento dei calciatori sulla decisioni arbitrali? “Hanno capito la linea d’intervento. I giocatori sanno in quale situazione interviene il Var. La protesta è fisiologica in certi frangenti, ma le regole sono note. In generale si va verso un gioco più corretto. Se qualcuno inganna c’è comunque uno strumento che ristabilisce la verità. Questi atteggiamenti vanno scomparendo, rimangono i casi isolati”.
Gli incontri con i tecnici e i giocatori servono?
“Sono utili poiché lavorare insieme permette di dirsi le cose in faccia e discutere. Ben venga il confronto per sentire anche cosa i calciatori si aspettano da noi, in un momento di aggregazione tra soggetti che fanno parte dello stesso sistema. La conoscenza accorcia la distanza”.
Il maxi recupero ci farà rivivere i tempi biblici del Mondiale?
“È stato solo chiarito che vanno conteggiati nel recupero i festeggiamenti”.
Arbitri italiani sempre al top?
“Venendo dall’atletica sono abituato a guardare il mio orticello e non ciò che fanno gli altri. Semmai cerco di migliorare prendendo spunto dall’esterno. Abbiamo una grande tradizione in Italia, con istruttori di altissimo profilo. A livello Uefa tutti studiano tutti, l’errore più grosso è sentirsi i migliori. Se pensi di esserlo, inconsciamente rischi di adagiarti. Io ho la fame di un calciatore, filtrata da un ruolo diverso. Le decisioni vanno cercate, non si deve aspettare che le cose accadano e poi inseguire gli eventi”.
Qual’è la percentuale di giocatori che definirebbe corretti?
“Più del 90 per cento sono corretti. Per il resto non parlerei di ragazzi scorretti ma di atteggiamenti. Sta a noi, con decisioni uniformi in tutto il campionato, dare il giusto contributo: se riusciamo a trasmettere la sensazione che le decisioni sono omogenee anche i calciatori si regolano ed evitano certi comportamenti”.