La sua età potrebbe essere ancora valida per un calciatore in attività, eppure lei ha già maturato diverse esperienze da collaboratore tecnico.
“Sì, ho smesso di giocare a 26 anni dopo una carriera di categoria. Mi sono sempre posto il limite di restare ad un buon livello, quando ho visto che non ci arrivavo più, ho preferito dire basta. Mi piace il mondo del calcio, intendevo restarci, non volevo andare troppo oltre e diventare un giocatore mediocre. Ho preferito ributtarmi nella mischia, imparando subito bene un altro mestiere”.
E questo passaggio, da un fronte all’altro, come è stato?
“Quasi naturale. Ho sempre giocato a Football Manager, sono sempre stato abbastanza malato di tattica, di attaccanti, di tecnica individuale. Mi è sempre piaciuto un monte… Ho iniziato con i ragazzi del Chievo, poi quell’anno ho fatto il corso da analista e ho avuto l’opportunità di andare subito in prima squadra ed è stato bello, indubbiamente. Stavo finendo l’università, avevo iniziato questo lavoro e mi ci dedicavo anche la notte, mi appassionava tanto”.
Al Chievo, dunque, un’esperienza di quattro anni. Poi, il passaggio alla Spal, dove ha incontrato proprio De Rossi da allenatore.
“Inizialmente ero andato a lavorare lì come scout e analista, poi ci siamo trovati, restando in contatto anche dopo, arrivando poi insieme alla Roma. Ringrazio Daniele e la Società per questa grande possibilità, in un top Club”.
L’approccio con il lavoro in un Club di Serie A da zona europea, come è stato per lei?
“Lavorare ai massimi livelli è spettacolare e, paradossalmente, anche più facile. Io spesso mi occupo di vedere i giocatori offensivi, attaccanti avversari e situazioni da palle inattive. Farlo in un mondo che è più conosciuto, in primo luogo ti facilita per il reperimento delle informazioni, inoltre è stimolante per andare a ricercare un dettaglio un po’ più nascosto, per non scoprire l’acqua calda, ecco…”.
Entrando più nel dettaglio dei suoi compiti?
“Beh, si cerca di lavorare con i difensori sui movimenti e gli orientamenti degli avversari. Come prepararsi in base alle caratteristiche dei giocatori che ti puntano, dare questo tipo di informazioni ai nostri difensori per affrontare le partite. Poi, c’è ovviamente lo studio della squadra avversaria che facciamo tutti insieme con lo staff. La decisione finale spetta sempre all’allenatore”.
Da ex difensore, che effetto ti fa rapportarti con interpreti del ruolo così forti? Ne sono arrivati due negli ultimi giorni di mercato con enorme esperienza internazionale come Hermoso e Hummels.
“Il confronto con atleti di un livello così alto, fa indubbiamente crescere ed è bello, stimolante. Si imparano senza dubbio molto meglio alcuni dettagli, alcune nozioni che è bene tenere a mente in ogni fase della partita”.
Ad esempio?
“Nel calcio ci sono due fasi. Con la palla o senza. Da giocatore, senza palla – da difensore – ho fatto esperienza e le squadre per cui giocavo venivano sempre messe abbastanza sotto pressione. In Serie B o C è così. La fase con la palla, invece, necessita di attenzioni diverse. Tipo la valutazione dei controlli, degli spazi, i ritmi: tutte queste cose me le ha facilitate Daniele, offrendomi una chiave di lettura diversa, decodificandole in un’altra maniera e potendo poi offrire ai ragazzi informazioni quanto più precise e dettagliate possibile”.
Un bilancio di questi mesi?
“Che dire? Ganzo… Tante cose sono andate bene per me e non era affatto scontato. Abbiamo trovato un bell’ambiente, tante brave persone, i giocatori molto disponibili, i sono tifosi incredibili…”.
E lavorare in una struttura come Trigoria quanto aiuta il lavoro?
“Tantissimo. Gli investimenti della Proprietà sulle strutture tecniche del centro sportivo sono sotto gli occhi di tutti: è assolutamente in linea per il livello della squadra e del Club. Abbiamo ogni cosa a disposizione, nessun tipo di problema, viene tutto naturale. Non manca niente. Niente. Non ci sono alibi, anzi in centro del genere resti più volentieri se devi fare una terapia o approfondire alcuni aspetti”.
Una battuta finale: le hanno mai detto che somiglia particolarmente a Chiellini?
“Tutti… Non mi taglio quasi mai i capelli così corti come ce li ho adesso, altrimenti è una rovina. Poi, il ruolo in campo era simile, alti più o meno uguali, toscano come lui…”.
Anche la voce, la cadenza, lo ricorda molto.
“Già, non a caso Mancio (Gianluca Mancini, ndr) mi chiama Giorgione…”.
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