Corriere dello Sport (L. Scalia) – Nell’indicare come suo idolo Andriy Shevchenko, Artem Dovbyk ha espresso in maniera chiara chi, come e cosa intende essere. Non un giocatore che si è limitato a vincere, bensì a stravincere. L’ha fatto appena ha messo piede a Roma per prendere la pesante eredità (in tutti i sensi) di Romelu Lukaku. Un armadio per un armadio. I loro destini si sono incrociati perché l’ucraino era nella lista dei desideri del Napoli prima della firma su un contratto di cinque anni impressa nel quartier generale di Trigoria. Che ha voluto fortemente. Tanto da rinunciare a un milione e mezzo di euro.

Vuole lasciare il segno al Maradona, Dovbyk. Un attaccante moderno che in questo avvio di stagione complicato è stato uno dei pochi a salvarsi, anche se spesso è stato risucchiato nella mediocrità del gioco collettivo della Roma.  Sono passati due allenatori e il feeling con Dybala non è mai scattato, nemmeno quello con Soulé e Pellegrini. Spesso ha lottato in solitaria, facendo sponde a vuoto e cercando di salvare il salvabile. In ogni caso i gol sono arrivati.  Il bilancio parziale dice che ha realizzato 6 centri in 15 partite tra campionato e coppe. Pochi nel complesso, tantissimi se si considera che è stato servito poco e male, soprattutto vedendo le traiettorie sballate dei cross arrivati da sinistra e da destra.

Buona parte del potenziale di Artem, quindi, è ancora bloccato. Al Girona, una macchina semiautomatica, segnava a raffica, così tanto da laurearsi capocannoniere della Liga davanti a campioni come Bellingham, Vinicus, Lewandowski, Morata e via dicendo. Era un ingranaggio, un finalizzatore spietato che sapeva attaccare la profondità. A Napoli, sulla carta, si dovrebbe vedere una versione di Dovbyk diversa rispetto a quella proposta fino a prima della sosta del campionato. Più velocista, meno ariete. Più dentro la manovra e di conseguenza meno solo.