Corriere dello Sport (A.Vocalelli) – E così la Juve ha almeno momentaneamente allungato a più sette, approfittando di una di quelle giornate – come direbbe Sarri – in cui il vantaggio di giocare prima si traduce nella maggior pressione da mettere ai rivali. Ha vinto la Juve, a Benevento, senza incantare e – anzi – soffrendo per un‘ora gli avversari. Poi è successo quello che secondo alcuni è il frutto della cattiveria, della determinazione, della capacità di essere cinici. Ed è invece solamente la banale conseguenza di poter disporre di calciatori superiori. Dybala ci aveva già pensato a farne due, quando Allegri si è girato verso la panchina e – uno sguardo ai suoi ragazzi in tuta – ha fatto scaldare e mandato in campo Higuain per dare la spallata, Douglas Costa per mettere il timbro e Khedira per chiudere la pratica. La Juve è questa e se non incontra Ronaldo, con le sue magie, è tanta, troppa, per chiunque. Una squadra capace di assorbire anche la lunga assenza di Dybala che, una volta superato l’infortunio, si è rimesso in moto verso la sua stagione più prolifica: ventuno gol in ventisei partite sono lì, testimoni fedeli del suo rendimento e delle sue qualità indiscutibili. Non date retta a chi, dopo la partita con il Real, ha chiamato in causa l’argentino e la sua crescita incompleta. Volete scommettere che davanti a Casemiro, Modric e Kroos avrebbe fatto anche lui la sua bellissima figura? Il calcio è l’insieme di tanti ingredienti, in cui però la qualità finisce per dare sempre il sapore giusto. A 21 punti dalla Juve, un’enormità a giudicare dalle premesse di inizio campionato, c’è la Roma battuta dalla Fiorentina. Da una stupenda e commovente Fiorentina, capace di vincere la sesta partita consecutiva – e meglio erano stati capaci di fare solo i viola di Hamrin e Montuori quasi sessant’anni fa – una Fiorentina che si muove ispirata da Astori, uno dei primi – come ha ricordato Pioli – ad approvare la rivoluzione estiva dei Della Valle e di Corvino. C’è voluto del tempo per farlo capire, ma adesso è chiaro che coraggiosamente e con molti rischi è stata intrapresa però una strada nuova. I gol di Benassi e Simeone, con Chiesa in tribuna, sono il sigillo di una squadra che ha scelto la via del sacrificio, della maturazione, dei suoi triangoli in continuo movimento. Con tanti giocatori eclettici, trasformisti, capaci di affondare e ripiegare, fare ora da gregari e un minuto dopo da protagonisti. Un lavoro, certo, che solo con il tempo il bravo Pioli potrà portare al rendimento massimo.
E’ andata male alla Roma che, come a Barcellona, ha giocato anche piuttosto bene, finendo però allo spiedo. Una certa dose di sfortuna forse, ma di sicuro quella che Di Francesco – elegantemente – chiama cattiveria, determinazione. Sa perfettamente Di Francesco, che in questo caso usa un giro di parole, cosa intende. La determinazione, la cattiveria, non è altro che quella qualità di cui abbiamo detto in precedenza. La Roma ha tanti buoni giocatori, in una difesa che alla fine regala sempre due o tre occasioni evitabilissime. La Roma ha tanti buoni giocatori, in un centrocampo però troppo monocorde. La Roma ha tanti buoni giocatori, in un attacco in cui però segna solamente Dzeko. L’uomo che due mesi fa era stato già ceduto al Chelsea, in cambio di una trentina di milioni che – secondo i professionisti dei violini – non si sarebbero mai potuti rifiutare. Questo però è il passato e per la Roma, adesso, conta solamente il prossimo futuro: Barcellona e Lazio in cinque giorni. Per riparlare degli acquisti necessari, della famosa qualità – per non accontentarsi, insomma – ci sarà sicuramente tempo.