Doveva giocare poco. Perchè Ibrahimovic, Pato e Robinho arrivavano prima di lui; perchè anche Inzaghi, in Champions League, avrebbe fatto più comodo; perchè era rotondo, appesantito e fuori forma. Poi è arrivata una partita a casa sua, Italia-Spagnadel 10 agosto a Bari, con la fascia da capitano della Nazionale al braccio. Da quella sera Antonio Cassano non ha più smesso di giocare. (…)
Dal 10 agosto, da quella notte sotto il suo cielo, Cassano è sempre stato titolare: 8 volte in campionato per 672′ (solo Abbiati ne ha fatti più di lui), 3 in Champions League (214′), 5 in Nazionale (327′). Sono 16 partite a fila per un totale di 1.213′. Per questo ieri Allegri ha lasciato un dubbio sul suo impiego da titolare a Roma, ma il ballottaggio con Robinho per ora lo vede favorito. Cassano potrà tirare il fiato martedì prossimo a Minsk, in Champions League, contro il Bate Borisov.
L’ULTIMO PASSAGGIO – Ma è la palla-gol generosamente offerta a destra e manca l’attimo in cui Cassano dà il meglio di sè. Forse troppo. Troppi assist rispetto al numero dei gol o delle conclusioni a rete. L’ultimo passaggio che il barese deve compiere è trasformare… l’ultimo passaggio in gol. Molto spesso cerca il compagno cui scaricare la palla da battere a rete, anzichè prendersi direttamente la responsabilità. Gli è successo in Nazionale e anche nel Milan. Sembra un atto di generosità, magari a volte lo è davvero, ma è anche quel filo di coraggio che gli manca. Sembra strano per un ragazzo sfrontato come lui. Può segnare molto di più, invertendo un trend assai curioso all’interno della sua squadra dove per ora i difensori e i centrocampisti segnano più degli attaccanti: 10 gol contro 6. Ma quello che Antonio Cassano deve rincorrere con tutto se stesso è il doppio equilibrio. L’ha trovato sul campo, riuscendo a sconfiggere la concorrenza, anzi, il timore che aveva della concorrenza tanto da esserne fuggito in passato (Real Madrid), adesso deve cercarlo fuori dal campo.