Antonio Cassano, ex attaccante della Roma, ha rilasciato un lunga e bella intervista al giornale Corriere Dello Sport. Fantantonio ha ripercorso le tappe della sua carriera parlando anche dell’esperienza a Trigoria e di Francesco Totti. Queste le sue parole:
Come è stato il passaggio alla Roma e l’arrivo a Roma?
«Io avevo l’occasione di andare alla Juve però, quando ho iniziato a giocare, ammiravo molto il Pupo, Francesco Totti. Era il giocatore che in quel periodo, in serie A, era diverso da tutti gli altri. Era il più forte di tutti e io mi rivedevo in lui. Dovevo andare alla Juve però quando c’è stata l’offerta dei giallorossi ho detto al mio procuratore dobbiamo andare a Roma assolutamente. Non mi importa della Juve. Sono andato a Roma solo ed esclusivamente per giocare con Totti».
E di Francesco sei diventato amico?
«Spiegami come si può non diventare amico di Francesco. E’ una cosa impossibile. E’ una persona seria, una persona umile, una persona perbene, è una persona a modo. Quando sono arrivato nella capitale i primi quattro mesi lui mi ha fatto vivere in casa sua, dove stava con la mamma e il papà. Mi ha fatto sentire a casa, ma non nel modo di dire, a casa sul serio. Mi ha tenuto tre mesi, fino a che non ho trovato un appartamento per me. Mi ha fatto ambientare in pochissimo tempo, in una metropoli grandissima. La differenza tra Roma e Bari era abissale e rischiavo di perdermi, in tutti i sensi».
Lui ti ha fatto un po’ da fratello maggiore in quella fase?
«Dandomi tanti consigli. Il problema è che se avessi ascoltato il dieci per cento di tutti i consigli positivi che lui mi dava, avrei fatto un’altra carriera, avrei fatto di tutto e di più. Però il mio istinto e la mia testa mi hanno portato tante volte ad andare avanti per la mia strada, seguendo la mia coerenza. Però la coerenza non vuol dire avere sempre ragione. Avessi ascoltato Francesco…».
Qual è il consiglio di Francesco che ti penti di più di non aver seguito?
«Stavamo trattando il rinnovo del mio contratto, era un momento di difficoltà tra me la società e lui mi disse “Antò ricordati: meglio guadagnare meno ma essere felici che andare da qualche altra parte del mondo e non essere sereno al cento per cento”. Infatti sono andato al Real Madrid e dopo un anno e mezzo sono andato via. Ero sedotto dall’offerta del Real ma all’epoca, se avessi ascoltato il consiglio di Francesco, probabilmente sarei rimasto a Roma per dieci, quindici anni insieme a lui. Quello è stato il consiglio che mi ha dato e che dovevo ascoltare. Però al mio solito sono andato d’istinto, di testa mia. Ho sbagliato, e chi è causa del suo mal pianga se stesso».
Dei vari allenatori che si sono succeduti alla Roma con chi ti sei trovato meglio e con chi ti sei trovato peggio?
«Sicuramente meglio e peggio, allo stesso tempo, con Capello, perché mi ha fatto rendere tantissimo però, allo stesso tempo, era una persona che voleva regole ferree e mi faceva pagare gli errori. Con multe salate, mettendomi fuori rosa o fuori squadra. Mi sono trovato meglio e peggio di tutti con lui. Però peggio significa per colpa mia, non per colpa sua».
E’ vero o è una leggenda che una volta tu abbia preso per il bavero Del Neri?
«No, assolutamente».
Però non ti stava simpaticissimo.
«Oggi ti dico la sincera verità. A distanza di dieci anni lo sai qual è uno dei pochi allenatori che sento? Del Neri. Perché poi l’ho rincontrato alla Sampdoria. E’ una persona leale. Nel mondo del calcio difficilmente ne incontri. E’ una persona che ti dice pane al pane e vino al vino. Ti dice le cose in faccia. All’epoca io ero un pazzo scatenato, pensavo che tutti ce l’avessero con me e che sbagliavano sempre gli altri e mai io. A distanza di tempo mi sono accorto che più di qualche volta avevo torto io».
Qual è l’errore che ti rimproveri di più? La “cassanata “, come l’hanno chiamata, che ti rimproveri maggiormente?
«Io penso l’anno e mezzo di Madrid. Perché ho fatto di tutto e di più in senso negativo. Perché c’è gente che pagherebbe oro per andare al Real Madrid con tutti quei fenomeni e io invece ho combinato tutti i casini possibili, andando via dai ritiri, facendo lo stupido, non allenandomi. Pesavo sei o sette chili in più. Quei giorni sono il grande rimpianto che ho, a livello calcistico».
Perché facevi così allora?
«Perché la mia felicità era non avere regole, fare quello che mi pareva, fare feste, festicciole, mangiare quello che mi andava, non facendo vita da professionista. Non ho mai avuto vizi di nessun genere, però non sopportavo regole e costrizioni. Ho sbagliato, ho perso una grande occasione. Guarda il Pupo, che oggi, a quarant’anni, fa ancora la differenza. Significa che ha fatto il professionista per venticinque anni. Se avessi fatto io come lui, sicuramente avrei avuto un’altra carriera. Purtroppo ci sono teste e teste».
Poi ci fu quella storia dell’imitazione di Capello…
«Io, dopo anni, continuo a dire che non ho fatto l’imitazione di Capello. Mi è venuta spontanea quel giorno facendo il “Stasera vado a far feste e festicciole”, c’era Ronaldo davanti che rideva. Mi è venuta spontanea e allora ho fatto il gesto di Capello che mi tirava la giacchetta. E’ venuto uguale, ma non avevo imitato Capello».
Qual è, oltre quello che abbiamo citato, il gol più bello della tua vita?
«Io penso il gol che ho fatto contro l’Irlanda al volo, quando vincemmo tre a zero. Lancio di De Rossi, calcio al volo senza guardare in porta, bellissimo. Quello è stato, secondo me, uno dei gol più belli».
Il giocatore con cui ti sei più divertito a giocare in campo? Quello che parlava il tuo stesso linguaggio?
«Lo sai già, cosa vuoi che ti risponda? Bastava che ci guardassimo, con il Pupo, e veniva tutto spontaneo. Mi sono trovato divinamente con lui. E’ stato un divertimento clamoroso. Certamente per noi, ma in primo luogo per il pubblico. Eravamo fantasia ed estro, insieme. E’ lui quello con cui mi sono divertito di più a giocare al calcio, in tutta la mia vita».
Giocheresti anche in serie B?
«Il Pupo a quarant’anni, con questa serie A, può divertirsi ancora un paio d’anni e io penso, a trentaquattro anni, di poter dire ancora la mia. E non facendo solo la presenza. Se arrivasse il momento in cui diventassi ridicolo nel calcio, se non ce la facessi più, sarei il primo a smettere. Io ora sono convinto di poter ancora divertirmi e fare la differenza, in serie A»