Fabio Capello, tecnico ed ex allenatore della Roma, ha rilasciato una lunga intervista a La Gazzetta dello Sport in cui ha toccato diversi temi riguardanti i giallorossi. Queste le sue parole:
La carriera da giocatore?
«La Spal fu una buona palestra. Roma mi formò come uomo e come calciatore. Juve e Milan furono le squadre dei successi».
I momenti chiave?
«Sono stato la cavia delle innovazioni. Con la Roma perdemmo l’accesso in finale di Coppa delle Coppe nel 1970 per un regolamento assurdo. Nella gara di ritorno in Polonia in casa del Gornik Zabrze pareggiammo 2-2, ma il gol di Scaratti nei supplementari non fu considerato doppio perché la regola valeva solo nei tempi regolari. Al replay pareggiammo ancora e fummo eliminati dopo il lancio della monetina. Dopo quella maratona assurda, modificarono le regole. Da allenatore la delusione più profonda l’ho provata con l’Inghilterra: il gol di Lampard negato contro la Germania nel Mondiale del 2010. Anche in questo caso, quell’ingiusti zia portò all’adozione della tecnologia».
Moggi, Giraudo, Baldini: come è riuscito ad andare d’accordo con dirigenti così diversi?
«Moggi ha governato il calcio: Ibrahimovic e Cannavaro sono i suoi capolavori. Giraudo è stato il primo in Italia ad avere grandi strategie extracalcistiche. Con Baldini abbiamo trovato la condivisione degli interessi culturali. Con lui sfiorammo l’affare che avrebbe potuto cambiare la storia della Roma: la cessione al gruppo russo».
Saltò per colpa della politica o per altre ragioni?
«I motivi furono diversi dalla politica».
Fu quella delusione ad allontanarlo dalla Roma?
«L’addio alla Roma fu inevitabile. Il mio ciclo era finito. Ma non fu una fuga. Il contatto con la Juve nacque grazie a Giorgio Tosatti e fu tutto molto rapido».
Agnelli, Berlusconi e Sensi: i presi-denti italiani della sua carriera da allenatore.
«Agnelli aveva fascino e parlava dal pulpito. Berlusconi è stato geniale e si poneva con i suoi dipendenti come l’imprenditore che si rimbocca le maniche. Sensi è l’uomo al quale sono contento di aver dato la gioia dello scudetto».
Il club dove si è sentito a casa?
«Al Milan sono stato benissimo. La gioia per lo scudetto di Roma è stata particolare. A Madrid vincere il titolo nel 2007 è stato qualcosa di speciale».
Il più grande talento allenato?
«Van Basten. Poi Ibrahimovic, Totti, Maldini, Baresi, Raul».
Il più inespresso?
«Cassano».
I colleghi?
«Helenio Herrera, Liedholm e Fabbri sono stati i maestri. Trapattoni è stato un pioniere: è stato il primo grande allenatore italiano ad andare all’estero. Sacchi ha aperto una strada».
La città più bella?
«Ho girato il mondo, ma nessun posto possiede la bellezza di Ro ma. Il fascino millenario dei suoi monumenti è unico. Quando giocavo, dopo cena portavo gli amici ad ammirare i Fori. Fa male al cuore vedere come è stata ridotta».