Il Tempo (D. Di Santo) – Hanno addirittura segato i pali delle porte. Perché in Italia, se gli ultrà vogliono, non si gioca più a pallone. È accaduto a Varese nella notte tra giovedì e venerdì quando ignoti si sono introdotti nello stadio «Franco Ossola» dedicato all’attaccante del grande Torino morto nella tragedia di Superga. Le porte sono state divelte, il terreno di gioco è stato preso a picconate e sul prato sono comparse frasi del tipo: «Squadra e società via dalla città», «Vogliamo gente vera, non vigliacchi», «Cassarà bla bla» e «Laurenza come Schettino».
Questi ultimi sono rispettivamente il presidente e il suo predecessore alla guida del club biancorosso che langue all’ultimo posto della classifica di serie B. Una contestazione degenerata nella follia che ha costretto la Lega di serie B al rinvio della partita con l’Avellino prevista per ieri alle 15 e che sarà recuperata oggi allo stesso orario. Le due società hanno avuto il via libera del Gruppo operativo sicurezza per lo svolgimento della gara a porte aperte, anche per non penalizzare ulteriormente i 277 tifosi irpini che erano già arrivati a Varese dopo aver percorso più di 800 chilometri.
Dopo la «trattativa» con Genny ’a Carogna per il fischio d’inizio della finale di coppa Italia dopo gli spari fuori dall’Olimpico e il dramma di Ciro Esposito, non ci si può stupire più di niente. A partire dalla contestazione di Cagliari. Venerdì una trentina di tifosi rossoblù ha fatto irruzione nel centro sportivo di Asseminello mentre la squdra era in ritiro celebrando una sorta di processo sommario a suon di minacce, avvertimenti e qualche ceffone. Daniele Conti, capitano della squadra sarda – penultima in classifica dopo il disastrato Parma – e il presidente Tommaso Giulini hanno minizzato l’accaduto, forse per non esasperare un clima già abbastanza inquinato. Fatto sta che all’ingresso del centro sportivo è spuntata la scritta: «Sputate sangue per la maglia, mercenari». La Digos è al lavoro per identificare i tifosi e ha ascoltato i giocatori per capire cosa sia successo davvero.
Il tecnico Zdenek Zeman, non manca certo di franchezza: «Non è stato un confronto – ha detto in conferenza stampa – per quello bisogna essere in due. E noi abbiamo solo subito. Per la pace, ma abbiamo subito. I giocatori li ho visti male. Qualcuno, alla prima contestazione, è rimasto choccato». Mentre armi e bombe carta sono state sequestrate a tifosi di Ternana e Perugia prima del derby umbro, i tribunali del popolo ultrà stanno diventando una consuetudine. Dopo la sconfitta con la Fiorentina all’Olimpico, valsa l’eliminazione dall’Europa League, i giocatori della Roma furono costretti a sfilare sotto la curva Sud per prendersi gli insulti dei tifosi.
Il fantasista giallorosso Miralem Pjanic, tra l’altro, fu colpito alla testa da un accendino. Una scena simile a quella vista a Marassi l’anno scorso quando i tifosi del Genoa costrinsero i giocatori a togliersi la maglia del Grifone. O alle recenti durissime contestazioni nei confronti di Atalanta e Inter condite da minacce e insulti. Nel maggio 2013 i giocatori dell’Ascoli, reduci da sei sconfitte di fila, trovarono nel campo di allenamento undici croci a loro «dedicate».
La linea rossa tra società e tifo organizzato è spesso molto sottile. Poco meno di un anno fa a un incontro per il salvataggio del Bologna tra l’allora presidente Albano Guaraldi e l’azionista Massimo Zanetti partecipò tale Cristian Frabboni, detto Forry, veterinario ma soprattutto leader del gruppo della curva rossoblù Beata Gioventù. A portarlo l’allora patron del club che l’avrebbe presentato come «professionista di fiducia». A guidare il Bologna oggi è Joe Tacopina, ex socio e uomo di fiducia di James Pallotta, ispiratore della linea dura all’«americana» contro gli eccessi del tifo.