Le altre volte suggeriva che l’addio non sarebbe stato definitivo, che un’elezione da vincere e «una missione da compiere» non mancano mai. Oggi no. Oggi Sepp Blatter, numero uno del calcio mondiale, alla Fifa da oltre 35 anni, presidente dal ’98, sopravvissuto a tempeste politiche, sportive e giudiziarie che avrebbero abbattuto chiunque, confessa: «Un giorno nella vita devi dire basta. Rimetto in piedi la Fifa, poi nel 2015 la lascio nelle mani di un altro». E non è detto che l’altro sia Platini.
Il 2012 può essere un anno storico: si deciderà su arbitri di porta e tecnologia in campo. Lei ci crede?
«Definitivamente. Stiamo sperimentando la tecnologia sul gol fantasma: l’International Board decide a marzo. Ci siamo. Importante che il sistema sia immediato, affidabile e non complicato».
Ottimista?
«Ce la faremo. La Fifa non può accettare che si ripeta quanto successo in Sudafrica: un pallone dentro 70 cm visto fuori».
Platini spinge per i cinque arbitri e dice: «Blatter non è a favore perché non è un’idea sua».
«Davvero ha detto così?».
Un po’ scherzando un po’ no.
«Ma ne avevamo parlato: lui propendeva per gli arbitri di porta, io no. Idea brillante ma costosa. Sono arbitri, non guardalinee: quante federazioni possono permettersi le cinquine? La tecnologia è meno cara. Comunque o si applica l’una o l’altra, tutt’e due assieme è difficile».
Decide il Board, organo che molti vorrebbero modernizzare.
«Intanto la Fifa ha il potere di veto. E poi, cambiare: sicuro sia meglio? Il calcio è popolare perché è così da sempre, è istintivo, anche i bambini conoscono le regole. S’immagina se facessimo come hockey e pallavolo che cambiano ogni anno?».
I club ce l’hanno con la Fifa: chiedono assicurazioni per i convocati e un calendario migliore. Rummenigge è stato durissimo con lei. Si rischia un nuovo G14?
«Rummenigge mi ha sorpreso, poi ci siamo parlati e, per me, discorso chiuso. G14 no, però le loro rivendicazioni sono più dirette di un tempo. Ma tutti dimenticano una cosa».
Cosa?
«I club hanno i loro interessi, le federazioni idem, nessuno pensa ai giocatori. I grandi club sono in una situazione finanziaria terribile e cercano soluzioni, ma ci sono anche i “piccoli”. Ci incontreremo presto, già fra pochi giorni e anche a gennaio: credo in un patto tra tutti».
Un assist inatteso le è arrivato dal presidente del Barcellona Rosell: «I campionati a 20 non vanno più bene».
«Finalmente. Lo dico da 15 anni, avevo presentato un progetto che avrebbe equilibrato campionati e coppe, club e nazionali. Sarebbe la soluzione. Questo calendario è insostenibile».
Non vogliono neanche il Mondiale d’estate in Qatar.
«Altro tema… Platini. È stabilito che il Mondiale sia a giugno, e per me è così. Dev’essere il Qatar a chiedere di spostarlo».
L’hanno accusata di razzismo: è sorpreso?
«Malafede. Ho portato il Mondiale in Sudafrica, milioni di bianchi e neri accanto nelle strade, negli stadi… Ho solo detto che ci sono due comportamenti scorretti in campo, con il fisico e con le parole, ma al 90′ è tutto finito. Che c’entra il razzismo? Ho ricevuto solidarietà da giocatori e dirigenti africani. Ma sono triste».
No al 6+5, stop al 9+9. E il progetto di identità nazionale?
«Basta fatiche di Sisifo: dopo tre anni ho capito che per il 6+5 non c’era spazio. Vedremo, in questo mondo globalizzato è difficile mettere barriere».
Il caso Sion minaccia Uefa e Fifa. Platini ha detto: «Senza protezione politica dell’Ue, è finita».
«L’Ue non dà al calcio l’importanza che merita. Hanno non so quanti commissari, ma non ce n’è uno per lo sport! Come se non si rendessero conto dell’importanza sociale».
Questo è gioco politico…
«È giusto che lo sport rispetti le leggi nazionali e gli Statuti federali, che diritto penale e del lavoro entrino nello sport. Quello che non va bene sono le organizzazioni sovranazionali che intervengono poco o troppo. Lo sport non può essere indipendente, ma deve avere autonomia».
E il Sion?
«Il giudice di secondo grado ha smentito quello di Vaud e ha detto: il diritto del lavoro non c’entra. Nel calcio, il giudice del lavoro è l’allenatore che sceglie tra i 25/30 a disposizione».
In compenso per l’Ue lo sport è soprattutto business.
«Potremmo aprire una discussione filosofica di ore. Lo sport è attività agonistica e gioco. Nel tempo, l’aspetto economico è cresciuto ma non può prendere il sopravvento. C’è confusione, trasferimenti continui, nazionalizzazioni facili, processi».
Torniamo al calcio. Messi-Cristiano Ronaldo per il Pallone d’oro: sono i migliori?
«Lo ha deciso la maggioranza. Certo, tutto in Spagna. Dove c’è anche Xavi, simbolo di un movimento straordinario che dalle giovanili è arrivato a conquistare Europa e mondo».
Quindi Spagna ancora favorita per l’Euro?
«Le mie favorite sono le due finaliste… Però la Spagna ha un gioco tecnico, rapido, attrattivo. Ed è bello che il calcio sia espressione della cultura del paese. Ogni nazionale dovrebbe giocare come vive la sua gente».
Come vive, e gioca, l’Italia?
«Più realista e concreta. Ancora un po’ influenzata dal catenaccio, ma con grandi esempi storici di calcio offensivo: su tutti, i campioni del 1982. Grandissima squadra d’attacco».
Del catenaccio forse, di sicuro l’Italia è ancora prigioniera di calciopoli. Petrucci e Abete hanno proposto il tavolo della pace.
«Idea eccellente. Complimenti. Per eliminare incomprensioni e imperfezioni e chiudere con un’epoca».
S’avvicina il «clasico» Real-Barça.
«La mia “liason” con il Real è nota: per il bianco, quello del Visp quando giocavo, e perché è tra i fondatori della Fifa».
È anche Mourinho contro Guardiola.
«Due filosofie opposte. Un ex grande giocatore che ha un approccio particolare con i suoi, un tecnico di personalità straordinaria. I migliori».
Chi sono stati i più grandi fuoriclasse della storia?
«Pelé, Beckenbauer, Cruijff, Platini, Zidane, e colui che ha reso grande il Mondiale juniores nel 1979: Maradona».
Negli ultimi 10 Mondiali l’Europa ha avuto 30 semifinaliste su 40: non sono pochi 13 posti?
«No, è il numero giusto. Anche gli altri continenti devono svilupparsi e avere accesso al grande calcio. E poi, quando si fa il tabellone, sa com’è difficile evitare che s’incontrino subito? A meno che il sorteggio sia integrale: ma nessuno lo vuole».
Si sente un po’ responsabile della crisi morale Fifa?
«Da presidente, sì. Il problema è che la Fifa, anche prima che fossi numero uno, ha preso a svilupparsi troppo in fretta: l’aspetto economico è cresciuto e la risposta non è stata immediata. Ora ho un mandato forte di 186 voti: con le nuove commissioni riorganizzerò la Fifa. Siamo ai lavori in corso: i primi risultati arriveranno a maggio, nel 2013 conto di aver finito. Ma una cosa non mi piace».
Che cosa?
«Che si parli soltanto di scandali e di corruzione. E non si ricordi la missione sociale della Fifa. Il suo aiuto a chi ha bisogno, dal Pakistan a Fukushima, dalla Somalia ad Haiti. Il fatto che a calcio si giochi anche in guerra, dall’Iraq all’Afghanistan, e che nel nostro mondo un po’ disturbato sia motivo di benessere. Ecco, vorrei solo un’analisi più oggettiva. Chiedo troppo?».
Gazzetta dello Sport – Fabio Licari
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