Corriere dello Sport (I. Zazzaroni) – Nella Roma più bella dell’anno c’è il romanista più atteso da un anno, Leonardo Spinazzola. Un giocatore che avevamo dato per disperso non una e nemmeno due, bensì tre volte. Grazie al cielo (azzurro), la determinazione e la pazienza – sue – hanno prevalso sulle diffidenze e sui tanti, troppi timori a lui esterni.
Già contro il Verona un’ipotesi di Lazzaro aveva dato segnali incoraggianti, pur se tra mille, inevitabili interrogativi: terrà botta stavolta?, tornerà quello della prima fase dell’Europeo?, l’Inarrestabile?, Spina nel fianco degli avversari?, riavremo finalmente uno Spinazzola definitivo?
La partita con il Salisburgo ci ha riconsegnato il “tuttafascia” d’antàn, Leo a tutta birra, intraprendente, coraggioso, sicuro di sé, ripetutamente al servizio degli attaccanti e delle parentesi di respiro della squadra.
Sono partito da Spina anche perché avevo voglia di togliermi qualche spina, una in particolare: nel preciso momento in cui si è alzata la qualità degli esterni (molto bene anche Zalewski) la Roma ha trovato una notevole espressione di gioco. Per caratteristiche individuali, la squadra di Mou non può giocare a campo aperto: ha bisogno di tenere basse difesa e mediana e sfruttare il movimento, le verticalizzazioni sulle fasce: quando queste funzionano, si ottiene un’altra Roma. Più alta, piacevole e armonica.