Roma-Juventus, tutto il resto sono cazzate. Luis Enrique ha detto la cosa più pertinente. Conta il presente. Adesso: 20.45. Stadio Olimpico di Roma. Roma-Juventus. Un paio di settimane prima del Natale perché una partita così non è fatta per fare o ricevere gli auguri. E solo se la vinci viene Natale. Roma-Juventus è un tackle continuo. Già nei nomi, la definizione stessa dell’incompatibilità: Roma che è capitale, storia, e dice tutto (all’incontrario pure amore), Juventus che è “provincia di Giuventus” slang buono per il primo (eccezzziunale, certo) Abatantuono. E’ sfida dei nomi e sfida dei pronomi: noiloro. Due visioni, due mondi, due modi d’essere e s’è detto tanto in settimana di questo perché è giusto. Perché è così da sempre. Almeno da quando la Juventus si permise di violare per la prima volta Testaccio: venne ripagata con un 5-0 per il primo film della storia del cinema sul pallone. Ma non è solo questo. E’ la stessa possibilità di riempire una partita di calcio di tutti i significati che vuoi. E’ una ficata. E ogni volta è di più.
Questa per esempio, quella di adesso: 20.45, stadio Olimpico di Roma, è un’altra volta Roma-Juventus da romanisti. Sono tornati “i juventini“. Sono primi. Sono di nuovo imbattibili. Sono di nuovo fischiati “bene“. Sono Lendl e non McEnroe, sono Titti e non Gatto Silvestro, Beep Beep e non Willy il Coyote (e lo sono stati veramente in B…). C’hanno uno dei simboli migliori, tale Antonio Conte, quello che “odiava” Zeman, Zeman quello che denunciava il doping, Conte quello di quella Juve, l’uomo migliore di Lippi juventino e basta, il capitano loro, lo juventinismo o la juventinità (bah) fatta persona e parrucca. Ha rifatto il trucco alla Vecchia Signora ed è stato così bravo (sigh, è vero) da far sembrare persino veri i suoi capelli. Dal Salento a Torino, un trapianto di stile. Tu chiamale Ascarità se vuoi. E’ un prodotto perfetto della juventinità, rodato e allevato in vitro, in quelle province di Giuventus, Bari e Siena (così come Atalanta, Avellino, Cesena) che sono state sempre tanto buone e care e ossequiose verso la squadra dei padroni.
Quella è la Juventus. Quella è, va da sè. Sono tornati pure loro: gli Agnelli. E questa è storia d’Italia. Di un’Italia che non va. Che se ne va a Detroit e chiude Termini Imerese. Ogni occasione è buona per dirlo. Altro che rivoluzione culturale, Roma-Juventus è da questa parte – e sempre e per sempre da questa parte ci troverete – rivoluzione e basta. Adesso (ore 20.45) come prima e più di prima “ti odierò“. Sportivamente s’intende. E’ talmente grande – e in questo senso bella – Roma-Juventus che non c’è spazio per l’ipocrisia (grazie ancora Felix Magath). Si stanno riprendendo il sistema dopo essersi riciclati. Il potere ha sempre bisogno di riciclarsi: di un anno in B, di una concessione al popolo (una coppetta Italia magari), per ritornare a essere quello che è sempre stato: chi ti fotte. Non serve Marcuse per capirlo, basta vedere un arbitraggio quest’anno. Basta vedere pure quelli contro la Roma, che finora nessuno l’ha detto perché giustamente da questa parte si sta cambiando e non riciclando, ma che nella settimana di Roma-Juventus non va detto, ma urlato. Con un’aggiunta: il gol di Turone era buono. Non esistono poteri buoni. Apposta sono previsti dopo Roma-Juventus tavoli della pace, con i compari a strisce, gli arlecchini servi dei due padroni, che definiranno definitivamente la spartizione della prima e della seconda repubblica pallonara, quella prima e post calciopoli. Noi – noi e non loro – noi non li battiamo se possibile da prima: da quando si parlava liberamente ai telefonini.
Qui a Roma era preistoria, c’era un certo Fabio Capello sulla nostra panchina. L’ha fatta diventare la loro. Ha confuso i pronomi. Reato. E’ scappato di notte a Torino. Era di maggio, n’addore ’e rose perché non gli interessavano mica i soldi, così come non gli interessava andare alla Juventus. Dopo quella cosa, qui non li abbiamo mai battuti. Mai a casa nostra mai. Li abbiamo eliminato una volta ma perdendo (perché all’andata eravamo riusciti a far tre gol sulla neve, siamo poeti). Abbiamo dovuto vedere sorgere l’alba del sole di Torino secondo Zebina ed Emerson, e spuntare tra un peletto e l’altro del suo faccino sbarbatello, il sorriso di Mirko. E’ troppo. Oggi non c’è. Peccato. E’ uguale. E’ Roma – Juve . C’ è Baldini apposta. C’era lui con noi quell’ultima volta. I temi dopo Fiorentina-Roma, la settimana dei lunghi chiarimenti e delle finte firme sul futuro non è ancora terminata; i temi di campo sono mille di più, le motivazioni un po’ di più, gli intrecci ancora maggiori (pensate a Viviani contro Pirlo a centrocampo semmai, una quindicina d’anni di differenza; pensate se gioca pure Greco oltre a Totti, De Rossi, Viviani, e Rosi, avremmo mezza Roma contro tutte le province della Giuventus) ma adesso, stanotte conta solo Roma-Juventus. Tanti hanno detto, scritto, blaterato che conta la prestazione, che non si chiede contro la prima in classifica e in un momento del genere di vincere, ma di dimostrare di esserci, di stare sulla giusta strada del buon cammino eccetera. Tutto questo è giusto, sacrosanto, persino logico, ma dopo Roma-Juventus. Per adesso sono solo cazzate.
Il Romanista – Tonino Cagnucci