La Gazzetta dello Sport (P.Condò) – L’altra sera a Genova una boccata di aria fresca ha permesso alla Roma di agguantare in extremis il pareggio. Sì, è stato Mirko Antonucci l’uomo-chiave dell’1-1: più di Dzeko che l’ha buttata dentro, più di Schick che aveva comunque dato una nuova dimensione alla manovra, più di Pellegrini che è stato il migliore (Alisson a parte), ma al momento del gol era già uscito stremato. Il segreto di un pari meritato, ma ormai insperato, è stato un ragazzo di 18 anni mandato in campo da Di Francesco per disperazione: infortunati El Shaarawy e Perotti, spesi sino a consunzione Defrel e Under, per non cambiare modulo restavano Gerson (che sarebbe entrato di lì a poco, ma in quota centrocampisti) e appunto l’attaccante della Primavera. Il quale, dopo aver fallito una buona opportunità perché Dzeko gli si è piazzato davanti, al 91’ ha pensato bene di spedire al centro un cross al volo, non controllandolo prima come avrebbero fatto molti colleghi più scafati, ma meno frizzanti. Un bel sinistro che, guadagnando all’azione un tempo di gioco, ha fatto saltare in anticipo Ferrari, liberando così Dzeko alla deviazione vincente. Una giocata da debuttante di classe: non di quelli che si limitano al compitino, ma di quelli decisi a far vedere di cosa sono capaci.
Antonucci è un ragazzo di cui si parla da un po’, nel circuito del calcio giovanile. Come si parla di Pellegri, che sta andando dal Genoa alla Juve. O di Cutrone, la novità più lieta della stagione milanista. O di Bastoni, che l’Inter si è affrettata ad acquistare dall’Atalanta per la prossima stagione; o di Pinamonti, che nella stessa Inter non riesce a giocare un minuto pur godendo ovunque di grande considerazione (lo segue il Liverpool). In generale, anche i giovani ai quali si predice un futuro da campioni stanno giocando poco, ed è un peccato perché una volta concluso il percorso nel vivaio soltanto la competizione ti permette di non interrompere la crescita. Par di capire che chiunque vinca l’elezione alla presidenza federale, dalla prossima stagione vedremo la novità delle seconde squadre in Lega Pro. Un passo in avanti utile per educare i ragazzi al confronto anche duro, ma non esaustivo per i potenziali fuoriclasse. Quelli devono giocare subito in Serie A, come succedeva quando le rose erano composte da 18 professionisti, e se qualcuno si infortunava veniva chiamato il Primavera corrispondente (nel ruolo). In tempi di rose ipertrofiche, invece, succede che i tecnici forzino le situazioni – un attaccante passa all’ala, un’ala diventa terzino – pur di non essere costretti a promuovere un ragazzino. Un sistema che ingrassa la pletora di figure che mangiano attorno a un pallone – troppi mediocri giocano in A – e danneggia lo sviluppo dei giovani. Che sembra sempre complicato, finché non arriva un Antonucci a soffiar via la polvere del «non si può fare».