Tra gli idiotismi che, a sproposito di Roma, volano di bocca in bocca c’è n’è uno in particolare, non si sa se più fesso o esilarante.
Recita più o meno così, con tutte le varianti del caso: «…Ma quale Enrique, quale profeta di tutte le Asturie! La Roma di Ranieri, di questi tempi, aveva tre punti in più». Lo dicono, questi professori di statistica applicata, come fosse la sentenza che non lascia scampo. «Tre punti in più». Ti scodellano il dato e ne avverti distintamente, tra mandibola e palato, l’euforia da esattori del fisco, anche certo orrore liquido da salivazione anomala, di chi sente d’aver centrato il bersaglio, smascherato il santone, e ha invece solo fatto pipì sull’albero sbagliato.
Ora, non so se tre punti, quattro, fossero anche dieci in più, ma come si può pensare, parola grossa, che il “punto” sia questo? Come si può essere così ottusamente prosaici o prosaicamente ottusi, fate voi, da confondere la natura del viaggio, credere che la felicità sia inalare un piatto di minestra riscaldata e non immaginare invece di farsi una cofana di sapori paradisiaci, magari trascinati da un trombettista di New Orleans invece che da una trucida pianola del “tutto già sentito”? Senza infierire, per carità, anzi, che il Sor Ranieri ci sta pure simpatico, con quella sua astuzia tutta curiale di portare a casa ogni volta, che sia Roma, Torino, Londra o Milano, il risultato per sè e per la ditta, quando fuori bussa la tempesta.
La nuova Roma di oggi è l’utopia che ancora non c’è ma, intanto, sta già provando a riavviare tra i tifosi, alquanto freddati dall’era Sensi, i motori virtuosi della passione. Tra passato e futuro, il campo “Di Bartolomei” ieri e le iniziative per riportare la gente allo stadio che sarà domani. Razzolando giovani di fondate speranze e lucidando il marchio Roma in tutte le direzioni e in tutti i network possibili. Ben sapendo che, al centro di questa impresa in movimento, c’è lui, Luis Enrique, splendida anomalia, il suo gioco e la sua visione. Domanda: barattereste tutto questo per «tre punti in più»? Per l’elogio della mediocrità spacciata per buonsenso che è il Sor Ranieri, l’arte di accasarsi ancora prima che di arrangiarsi? La mia sensazione è che l’uomo Enrique abbia stupito e sedotto chi lo ha scelto, a cominciare da Franco Baldini, ben al di là delle attese e dei motivi che hanno spinto a sceglierlo.
Che la scoperta di chi e cosa sia Enrique sia un aggiornamento costante ed esaltante a Trigoria. La “verticalità” dell’uomo sta nella persistenza incorruttibile della sua visione. Lui sa sempre lucidamente quello che è giusto, non per aggiustare un problema del momento, ma per fondare una coerenza del futuro. Se Ranieri è l’aggiustatore, Enrique è l’artefice. Tra le pezze del primo e la pazzia del secondo, scelgo il secondo. Non sappiamo che sarà di questa Roma. Nella migliore delle ipotesi tornerà ai fasti di Liedholm, nella peggiore sarà archiviata come una chimera. Sarà stato comunque bello. (…)
Corriere dello Sport – Giancarlo Dotto