L’As Roma procede verso l’addio a Piazza Affari tramite uno «squeeze out», cioè l’istituto guiridico che attribuisce sotto particolari condizioni il diritto di acquisto sulle azioni residue nel caso in cui il socio di riferimento arrivi a detenere il 95% delle azioni. La società giallorossa aveva debuttato a Piazza Affari il 22 maggio del 2000, quando sulla plancia di comando c’era ancora Franco Sensi e quando allenatore era Fabio Capello: il giorno dell’esordio il titolo aveva guadagnato il 3,25% a 4,03 euro. Sembra passato un secolo da allora, visto che non soltanto sono cambiati i protagonisti (con l’americano Thomas Richard DiBenedetto a capo della cordata di azionisti americani e con l’allenatore spagnolo Luis Enrique sulla panchina) ma visto anche che il titolo ha perso a Piazza Affari gran parte del suo valore: oltre 1’87% fino ad arrivare a 0,5 euro. Un vero tonfo che non ha riguardato la sola società giallorossa, ma un po’ tutto il calcio quotato: la Lazio ha infatti lasciato sul terreno il 98% del suo valore (la prima a debuttare a Piazza Affari nel 1998), mentre la Juventus circa 1’85% (con l’Ipo avvenuta nel 2001). Lo «squeeze out» dovrebbe essere una conseguenza tecnica dell’aumento di capitale da 8o milioni di euro previsto per l’As Roma. Dopo l’Opa obbligatoria di fine 2011, la holding di controllo del club giallorosso, cioè Neep Roma (che vede la cordata DiBenedetto in maggioranza e UniCredit in minoranza) possiede infatti il 78% del capitale azionario della società calcistica. Un altro 2,5% delle azioni sono in mano all’immobiliarista Danilo Coppola tramite la scatola societaria Tikal Plaza. Al termine dell’aumento di capitale da 80 milioni, deliberato a gennaio, con una prima tranche di 5o milioni, la holding Neep dovrebbe vedere più saldo il controllo sul club: nel caso in cui i soci di minoranza non dovessero seguire l’aumento di capitale, gli attuali azionisti di riferimento dovrebbero infatti arrivare a detenere circa il 95% del capitale azionario. In questo caso le alternative sono solitamente di due tipi. Una prima soluzione sarebbe la ricostituzione del flottante, opzione che al momento sembrerebbe poco probabile. L’altra, appunto, «lo squeeze out» con l’acquisto delle poche azioni in circolazione. Altro tema d’attualità, dopo l’aumento di capitale, sarà l’ingresso di un socio di minoranza che rilevi un 20% in mano a UniCredit: in corso ci sarebbero alcune riflessioni. Il nuovo socio, in ogni caso, dovrà ottenere il via libera dell’azionista americano.
Il Sole 24 Ore – Carlo Festa
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