La Repubblica (P. Condò) – La Roma ha perso ancora su situazioni al limite: la sua fase di copertura è un rebus insoluto, l’unica cosa da non fare è discutere Abraham. Può darsi che gli manchi l’animo del bounty killer, ma è un attaccante di alta qualità.
La pausa, adesso. Dovrà servire anche agli arbitri per fare il punto di una situazione che complessivamente è sfuggita loro di mano. Complessivamente, sì, perché non avrebbe senso stilare una lista di bravi e scarsi (anche se certe differenze individuali quest’anno sono molto visibili): stagioni tranquille non ne esistono, e questo può anche essere fisiologico in un calcio polemico come il nostro, ma ormai non passa giornata senza un nuovo “caso”, più o meno sempre uguale nella dinamica ma spesso diverso nella decisione finale tra arbitro e Var, il che ovviamente appicca il fuoco a ogni dopo partita.
La nuova gestione di Trentalange e Rocchi non è partita bene, e se non trova in fretta una coerenza al ribasso – nel senso di sanzioni dure solo per falli gravi – non riuscirà a risalire la corrente. Purtroppo l’incertezza del diritto ha fatto riemergere in campo la maleducazione: ci sono giocatori che restano a terra per ogni scemenza, proteste temerarie in assenza del più lieve appiglio (ogni tiro ribattuto viene denunciato a prescindere come fallo di mano), arbitri in attesa del Var che vengono circondati da folle urlanti. E in un clima del genere il racconto calcistico, che aveva fatto molti miglioramenti sul piano analitico, rischia di tornare a un’enorme e pervasiva moviola, buona solo a solleticare ogni tipo di complottismo. Nei giorni più duri del primo lockdown non era questo il calcio che sognavamo