Il Messaggero (A. Sorrentino) – José Mourinho ha salutato il popolo in adorazione indicando il prato dell’Olimpico: io rimango qui, sembrava suggerire dopo Roma-Spezia. Io rimango qui, nei vostri cuori. Bel messaggio, iconico come piace a José. Perché spesso basta solo un gesto, anche se in questo caso è tutto da interpretare.
Se ci sarà un prossimo anno con Mourinho, sarà possibile viverlo continuando a baruffare con gli arbitri in ogni partita? Detto che Salvatore Foti, col suo record mondiale di espulsioni e ammonizioni da vice, quest’anno non ha affatto dato bella mostra di sé (una volta capita a tutti, se diventano decine è un grosso problema, per lui e per il club), la Roma ha davvero voglia, o bisogno, di essere la squadra invisa agli arbitri di ogni latitudine, che poi finisce in un modo o nell’altro per pagarne il fio, come si è visto a Budapest e in altre occasioni?
Il “qui” a cui si riferisce Mourinho include anche, per forza di cose, anche la rissosità elevata a sistema? Conoscendo l’uomo, è ben difficile che sottoscriva un patto di non belligeranza col mondo arbitrale; né, conoscendo il sopraccitato mondo, è prevedibile che dagli arbitri arrivi un ramoscello d’ulivo. Figuriamoci: già nel 2005 il capo dei fischietti Uefa di allora, Volker Roth, definì José “un nemico del calcio“, quindi il clima è quello, da sempre.
E dunque, si chiede il presidente Friedkin, il gioco Mourinho vale la candela oppure no, in un’ottica di decollo verso l’Europa e la gloria? Il popolo sembra dire «Mourinho o morte», ma sarebbe un errore anche quello, perché di tecnici bravi in giro ce ne sono. Come ci saranno pure un “qui” e un futuro diversi, più allineati coi pianeti, visto che di certo la Roma non può permettersi di litigare col mondo, e di essere sempre fuori asse. È proprio questo, il nodo-Mourinho. Nonché l’origine delle perplessità di Friedkin. Che tra l’altro di comprare tutti quei giocatori non ha alcuna intenzione. Quindi?