La Gazzetta dello Sport (N.Berardino – S.Cieri) – Doveva essere la giornata della lotta al razzismo, promossa dalla Lazio per voltare pagina dopo i cori razzisti intonati da alcuni suoi tifosi durante Lazio-Sassuolo, con conseguente chiusura della curva Nord per due partite. Si è trasformata, invece, in una nuova pagina di intolleranza razziale. Protagonisti sempre gli ultrà laziali. Saranno anche pochi sconsiderati, come ha sottolineato il portavoce della società romana Arturo Diaconale, ma sono stati sufficienti a macchiare l’immagine di un club che, peraltro, da anni convive con questi episodi.
I FATTI – L’ultimo si è appunto verificato domenica, durante il match con il Cagliari. Alcuni ultrà laziali hanno tappezzato le barriere divisorie in plexiglass della curva Sud di adesivi antisemiti. Da «romanista ebreo» ad «Aronne Piperno romanista», fino al più pesante e grave: un fotomontaggio di Anna Frank con la maglia della Roma. A denunciare l’accaduto sono stati gli inservienti del Coni ieri mattina mentre effettuavano le pulizie degli spalti dello stadio. In un attimo la notizia si è diffusa, provocando le reazioni sdegnate, a partire dalla Comunità ebraica di Roma, la cui presidente Ruth Dureghello ha twittato: «Questa non è una curva, questo non è calcio, questo non è sport. Fuori gli antisemiti dagli stadi». Ferma pure la condanna di autorità istituzionali e sportive. Il presidente della Figc Carlo Tavecchio ha parlato di «atteggiamento inqualificabile che offende una comunità e tutto il nostro Paese». Mentre a tarda sera gli autori, il gruppo «Irriducibili Lazio», ha definito «contesto goliardico» il vergognoso gesto dell’Olimpico. Una definizione che, se possibile, peggiora lo scenario in cui è maturata la vicenda. La Figc aprirà oggi un’inchiesta. La Lazio, recidiva, rischia una stangata. Possibile che stavolta a essere chiuso sia l’intero stadio e non il solo settore interessato. Ma i tempi dell’indagine non saranno brevi. Il procuratore sportivo dovrà acquisire gli atti dalla Questura che, a sua volta, deve ancora fare luce sull’episodio. Stamani il presidente Lotito e una delegazione di calciatori si recheranno alla Sinagoga di Roma per deporre una corona di fiori in memoria delle vittime dell’antisemitismo. Un modo per dissociarsi da quanto accaduto.
I PRECEDENTI – A pesare, per la Lazio, sono i numerosi e gravi precedenti. Il club, nonostante i vari tentativi di prendere le distanze da certe manifestazioni, ha collezionato una serie-record di squalifiche in Italia e in Europa. La prima arrivò dopo il derby del 29 aprile 2001 proprio per uno striscione antisemita, oltre che di discriminazione razziale («squadra di negri, curva di ebrei», ai romanisti). Nei sedici anni successivi ne sono seguite altre, la maggior parte per buu razzisti, ma nel 2013 l’Uefa sanzionò i biancocelesti con due partite a porte chiuse per cori antisemiti durante Lazio-Tottenham. E nello stesso anno il derby-finale di Coppa Italia fu preceduto da un altro striscione antisemita: «La storia è sempre quella sul petto vuoi la stella». Le ultime squalifiche sono contemporanee. La Lazio ha giocato quest’anno (il 28 settembre) la prima partita di Europa League a porte chiuse per gli ululati dei suoi tifosi a Praga nel 2016. E quella con il Cagliari era la prima delle due partite con la Nord chiusa per altri ululati, nel match con il Sassuolo.
IL CLUB – La società, per venire incontro alle esigenze di quanti con quei buu non c’entravano nulla, ha aperto la Sud, consentendo anche agli abbonati della Nord di accedervi. Una decisione che si è rivelata un autogol. Il portavoce del club, Arturo Diaconale, ha preso le distanze: «La Lazio ha sempre condannato ogni forma di razzismo, si resta interdetti di fronte a manifestazioni che riguardano un gruppo ristrettissimo di persone, che non coinvolgono i tifosi che si sono sempre comportati bene. Ci preoccupa che un numero minutissimo di sconsiderati possa provocare danni d’immagine e materiali clamorosi a una società che sta facendo ogni sforzo per essere al passo coi tempi».