L’impressione è che, se si fossero incontrati in un’altra vita, avrebbero potuto persino diventare amici. James Pallotta e Claudio Lotito, infatti, sono entrambi uomini di grande passione e d’intelligenza economica non banale. Roma e Lazio li hanno eletti rappresentanti di due universi contrapposti e speculari, cuciti solo dal bisogno inestinguibile di superarsi. Così, nel giorno in cui Pallotta officia da lontano il suo ultimo derby da presidente, è facile giocare alle differenze tra i due, utilizzando come cartina di tornasole sogni e bisogni coniugati ai numeri. Nel periodo in cui sono stati affiancati, due spiccano su tutti: lo zero nei trofei giallorossi contro i 4 biancocelesti e i 592 contro il «sempre» della loro presenza nella Capitale. Sarebbe troppo banale recitare “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” perché, se è vero che Pallotta non è mai stato sentito dai tifosi della Roma come «uno di noi», anche Lotito negli anni ha avuto i suoi problemi sentimentali. Certo, se si pensa che il presidente bostoniano come media punti-partita di campionato è stato il più vincente della storia giallorossa, si capisce come lascerà col rimpianto niente affatto segreto di non aver mai vinto nulla. Eppure per vincere Pallotta, da azionista di maggioranza, in 9 anni ha schierato un presidente, 2 vicepresidenti, 2 ceo, 3 amministratori delegati, 3 direttori generali, 4 direttori sportivi e 8 allenatori. Quanto basta per raccontarsi che troppe scelte sono state sbagliate, troppi campioni salutati con fretta eccessiva (da Alisson a Pjanic fino a Salah) e che le due bandiere destinate a unire passato e presente – Totti e De Rossi – liquidate con troppa sufficienza. Lo riporta La Gazzetta dello Sport.