Pagine Romaniste (F. Belli) – “Nella Roma migliore di tutti i tempi come centrali prendo due stranieri: quello falso, Vierchowood, e quello vero: Aldair”. Parola di un mostro sacro del calcio italiano: Nils Liedholm. Aldair Nascimento do Santos nasce in un piccolo paesino in provincia di Ilheus, non lontano da Rio de Janeiro. Da piccolo voleva giocare in attacco ma cambia subito idea, a suo dire, “perchè lì si prendevano troppi calci”. Non gli mancava il coraggio, era la paura che lo fregava direbbe Totò. Meglio una zona più sicura, meglio giocare difensore centrale. E’ un difensore potente, forte ma anche elegante e sopraffino, stile brasiliano insomma. Ha un difetto: è lento. Del resto, diceva Shakespeare, per scalare colline ripide serve inizialmente un passo lento. Viene notato dal Flamengo dove vince un campionato carioca nel 1986. Pochi anni dopo vola in Portogallo, al Benfica, prima di guadagnarsi l’attenzione di Dino Viola che lo acquista per la cifra monstre di 6 miliardi di lire. Per di più per dieci anni diventa il perno insostituibile della difesa giallorossa pur non vincendo praticamente niente. Entra di prepotenza nel cuore dei tifosi che lo soprannominano “Pluto”, per la somiglianza e per le movenze col personaggio della Disney, e “Alda”, in romanesco. E’ uno dei più forti difensori del mondo, se non il più forte, ma non è aiutato da una Roma che nel corso degli anni ’90 stenta ed è al limite della mediocrità. Una volta disse: “La squadra è come un buon piatto di carne. A volte basta cuocerla a fuoco lento, altre volte serve pressione o brace”. Ecco, quella Roma sembra un pezzo di carne crudo.
La fascia a Totti, lo scudetto “perso” e l’Aldair day
Diventa capitano nel ’98 e neanche un anno dopo compie il gran gesto: dare la fascia a un giovane Francesco Totti, che poi ha contraccambierà scrivendo una lettera struggente il giorno del suo addio al calcio. Ma questa è la fine. Torniamo a quel gesto: non era dovuto, semplicemente Aldair era già un passo avanti a tutti, come sempre anche in campo. A fine decennio arriva Capello, quando ormai il peso degli anni ha bussato alla porta di casa Pluto. L’anno dello scudetto, per dire, si infortuna a metà stagione perdendosi tutto il finale del campionato. Lui, che aveva condiviso con i tifosi i grandi dolori e le pochissime gioie di quegli anni, si sarebbe perso proprio il rush finale verso la gloria. Un dolore straziante che lo porterà a estraniarsi anche il giorno dello scudetto il 17 giugno. Non è difficile trovare il video di lui seduto con lo sguardo fisso verso terra in mezzo a compagni riversi in un autentico delirio. Due anni dopo l’Aldair day, il ritiro di fronte alla sua gente. Persone che lo hanno idolatrato, difeso, sostenuto, e che da quel giorno hanno anche pianto per lui. La numero “6” ritirata a furor di popolo dopo l’addio strappalacrime non basta a spiegare l’affetto che i tifosi della Roma nutrono per questo giocatore. Una “6” cosi pesante che per trovare nuova dimora ha aspettato l’arrivo di un certo Kevin Strootman. Un proverbio brasiliano dice che chi semina vento raccoglie tempesta e chi semina amore raccoglie saudade. Non esiste un corrispettivo italiano di saudade, è una sorta di atteggiamento di nostalgico rimpianto. Noi abbiamo amato Pluto, e Pluto ci ha lasciato saudade.