Il Tempo (F. Biafora) – “Agostino lo ricordo sempre con molto affetto. Credo che sia giusto ricordarlo per questo anniversario, ma in generale in tutti gli anniversari”. Carlo Ancelotti è uno degli allenatori più vincenti della storia del calcio ma nonostante tutto, anche nella settimana che porta alla finale di Champions League, dove il suo Real Madrid sfiderà il Borussia Dortmund, non esita a ricordare l’ex compagno di squadra e capitano della Roma nel giorno in cui cadono i 30 anni dalla sua scomparsa.
Che cosa rappresenta Di Bartolomei?
“Agostino è stata una figura importante per la Roma, per il calcio italiano, ma soprattutto a livello personale per ognuno di noi”.
Quale fu la prima reazione quando ha saputo della sua scomparsa?
“È stata una notizia molto triste, ero a Milano in quel periodo. È stata in parte una sorpresa, perché ho parlato con lui un paio di mesi prima, stava lavorando a qualcosa sulla statistica sul calcio e ci eravamo visti. Mi sembrava il solito Agostino molto tranquillo, molto serio, molto sereno. È stato un fulmine a ciel sereno. Credo che nessuno se lo aspettasse. Anche perché lui essendo molto taciturno non esprimeva il suo malessere. Sinceramente non lo so se lui abbia sofferto, so che aveva altre attività, aveva una scuola calcio lì in Irpinia, non so se ha sofferto il fatto di essere uscito in maniera così decisa dal suo mondo, che era il mondo del calcio. Non so cosa lo turbava”.
Che rapporto c’era tra di voi?
“Agostino aiutava molto i nuovi arrivati, era proprio un capitano vero. Aiutava o cercava di aiutare i nuovi che arrivavano, non solo i giovani, ma un po’ tutti, con l’ambientamento a Roma. Era abituato a invitarci a casa sua, ci invitava a cena, in questo era molto sensibile e si comportava veramente da capitano. Era un esempio sul campo e anche fuori dal campo”.
Che giocatore è stato?
“Un centrocampista molto intelligente, non veloce, ma tatticamente molto bravo, con un cambio di gioco fantastico e con un passaggio fantastico. Tant’è che Niels Liedholm nell’anno dello scudetto l’aveva fatto giocare difensore proprio per la sua intelligenza, per la sua capacità di fare passaggi sempre al momento giusto, nel posto giusto, al tempo giusto”.
Una delle immagini iconiche dell’anno dello scudetto del 1982/83 è quell’abbraccio tra di voi contro l’Avellino…
“Lo ricordo benissimo quel gol che segnò. Era una partita fondamentale per la vittoria dello scudetto. E sicuramente quel gol lì è stato tra i più importanti in quella stagione”.
Quello dello scudetto era un gruppo speciale?
“Abbiamo passato tanto tempo insieme perché a Liedholm piacevano molto i ritiri. Con Agostino abbiamo passato tanto tempo insieme a parlare, a scherzare, a giocare a carte. L’ambiente delle squadre in quel periodo era molto molto unito, proprio perché si passava tanto tempo insieme. Abbiamo degli ottimi ricordi di quel periodo passato insieme, un po’ tutti. Adesso le squadre non hanno quell’affiatamento lì. Alle volte abbiamo passato ore e ore a giocare a carte, a raccontarci barzellette, facevamo viaggi interminabili in treno, in pullman. Eravamo proprio una famiglia. Tant’è che ancora oggi i rapporti con questo gruppo di giocatori, con Bruno Conti, con Roberto Pruzzo, con Sebino Nela, con Odoacre Chierico, con Ubaldo Righetti, con Franco Tancredi, sono ancora molto vivi. Anche se ci vediamo molto poco. Una volta non c’era la solita la solitudine del telefono”.
Al momento dell’addio di Agostino lei divenne capitano. Le diede qualche consiglio in quel passaggio di consegne?
“Siamo rimasti in contatto, ma non è che abbiamo parlato proprio nello specifico della situazione. È stata un’uscita dalla Roma un po’ anomala. È stato ceduto perché probabilmente la società pensava che con l’arrivo di Sven Goran Eriksson, che faceva un calcio diverso, lui non fosse più adatto. E quindi ha diciamo accettato l’opportunità di seguire Liedholm al Milan. È stata abbastanza sorprendente la sua uscita, non ce l’aspettavamo”.