Il Messaggero (P.Piovani) – Caro Juan, ora che hai fatto le valigie e te ne sei andato in Messico, un po’ già ci manchi. Ti abbiamo voluto bene sin dal giorno in cui arrivasti a Roma, nell’entusiasmo generale. Per te la società pagò una cifra che non aveva mai speso per nessuno, neanche per Batistuta o per Falcao. Con te – all’epoca lo dicevano tutti – avremmo finalmente vinto lo scudetto. Tutta Italia ti voleva, ma tu scegliesti Roma. E Roma ti prese in simpatia, capì subito che eri un ragazzo serio, uno pronto a dare tutto per la sua squadra, anche se le partite passavano e tu non riuscivi a fare gol. «Per ora sono una pippa» ammettesti, modesto come sempre. I compagni di squadra cercavano di aiutarti in campo e fuori, ti difendevano dalle critiche, sebbene a mezza bocca confessassero: «Non avevamo mai visto un attaccante che non segna neanche in allenamento».
Resterà nella memoria quella partita contro il Viktoria Plzen, con l’intero stadio Olimpico che ti incitava, e tu rispondevi da par tuo, gettandoti con il corpo e con il cuore su ogni palla, ma senza mai prenderne neanche una, come un toro che si scaglia contro il torero e immancabilmente va a vuoto. Per rilanciarti la Roma le ha tentate tutte, ha pure provato a farti cambiare aria, ti ha mandato in prestito a giocare in città più tranquille, ma prima o poi quelli ti rispedivano indietro. Adesso te ne vai in America, e la notizia della tua cessione per noi è stata un piccolo dolore, l’ammissione di una sconfitta. Ma non è detto che sia finita: una clausola del contratto consente alla tua nuova squadra messicana di restituirti al mittente se le cose andassero male anche laggiù. Chissà, magari prima o poi ti rivedremo a Trigoria, caro Juan Manuel Iturbe Arévalos, la pippa più amata dai romanisti.