Tuttosport (D. Marchetti) – Quaranta giorni, tanti ne sono bastati a Romelu Lukaku per prendersi la Roma. Ma non ditelo a lui: “No, no. Non è la mia, noi siamo un team“. Parole da leader, non più solo tecnico, ma anche carismatico di una squadra partita con il freno a mano tirato e che, grazie ai suoi gol, sta provando a risalire la china di una classifica che la vede distante ancora sei punti dalla zona Champions.
E se a Mourinho spesso abbiamo sentito dire come esista una Roma con e una senza Dybala, viene altrettanto facile pensare lo stesso con Romelu. Un attaccante che in poco più di un mese ha cambiato il volto di una squadra, conquistando tutti dentro Trigoria. Dai giocatori ai dirigenti, fino ai dipendenti.
Non c’era bisogno di farlo con Mourinho perché i due insieme avevano già lavorato e sono legati da un rapporto che va oltre quello giocatore-allenatore.
Due reti che, sommare alle altre, fanno sì che il belga sia già a quota sette gol con la maglia della Roma in otto partite.
Numeri che lo rendono uno degli attaccanti più dominanti della Serie A. Una risposta a chi, in estate, lo ha criticato per essersi promesso all’Inter, salvo poi flirtare con la Juventus, mantenendo comunque una porta aperta all’Arabia. Nulla di tutto questo si è avverato, arrivando alla Roma.
A differenza del passato, con Lukaku c’è una presenza costante nell’area di rigore avversaria che Abraham non sempre garantiva, avendo qualità diverse. Adesso la speranza di Mourinho è che la sosta per le nazionali non interrompa questa magia, anche perché alla ripresa, dopo Monza e Slavia Praga, la Serie A metterà Big Rom di fronte all‘Inter a San Siro. Un ritorno da circoletto rosso sul calendario.