La Gazzetta dello Sport (C.Zucchelli) – C’è chi se n’è andato salutando con le lacrime agli occhi, chi ha mandato certificati di presunta depressione, chi ha fatto il percorso inverso, cioè da Torino a Roma, e chi invece non ha neanche detto addio: Juventus-Roma non è solo una sfida di calcio, ma è anche il racconto della scelta di chi ha deciso di lasciare la capitale per provare a vincere di più in bianconero. Pjanic, ovviamente, l’ultimo caso, Benatia anche – con la parentesi Bayern –, nella Juve gioca Chiellini che a Trigoria hanno lasciato andar via senza crederci fino in fondo, così come invece avevano fatto con Aquilani, un altro che ha indossato tutte e due le maglie, ma senza passaggi diretti.
POLEMICHE E MUSEI – Quelli sono stati i più dolorosi: per i romanisti un giocatore che va alla Juventus è sempre un tradimento. Più o meno forte, vedi Peruzzi, che ha giocato con Juve e Lazio ma è molto rispettato dai tifosi. L’addio di Pjanic è stato vissuto malissimo, quello di Emerson, che andò via dopo aver spedito un certificato medico che ne attestava la depressione, anche, e pure quello di Zebina, che dopo 4 stagioni non rinnovò il contratto e scelse la Juve. Era il 2004, ma le sue frasi sulla «solare Torino» e sui «musei che ci sono» ancora oggi sono il simbolo di quello che non doveva succedere. Il francese decise di seguire Capello alla Juventus, e ancora oggi il tecnico dell’ultimo scudetto è considerato il re del tradimento a tinte bianconere: negli Anni 70 venne venduto e la piazza si scatenò contro la società, 34 anni dopo il colpevole diventò lui, accusato di essere «scappato di notte con una Mazda ancora della Roma» dopo aver detto più volte che non sarebbe mai «andato alla Juventus». Era il 7 febbraio: «La mia è una scelta di vita, loro sono tra le prime 5 società al mondo ma io non sono interessato ad andare». Il 27 maggio diventò allenatore dei bianconeri.
AL CONTRARIO – Non tutti però hanno scelto di lasciare Roma per Torino: hanno fatto il percorso inverso Boniek, che della capitale si è innamorato così tanto che ci è rimasto a vivere, e Hässler, che arrivò a Trigoria nel 1991, giusto in tempo per conoscere un giovanissimo Totti a cui insegnava a calciare le punizioni. Oggi fa l’allenatore con alterne fortune, ma Roma gli è rimasta nel cuore, anche perché all’Olimpico è diventato campione del Mondo con la Germania. Non hanno gli stessi ricordi Vucinic e Osvaldo: uno sta chiudendo la carriera negli Emirati, l’altro fa il musicista rock a Barcellona, non c’è spazio per i rimpianti.