Il Messaggero (G. Lengua) – Nel calcio condizionato dal marketing, è normale che Saud Abdulhamid giochi in Serie A e sia l’alternativa o il titolare di una squadra che ambisca alla Champions; nel calcio degli esterni che hanno fatto la storia di questo sport e della Roma come Cafu e Maicon, un po’ meno. Per il momento il terzino arabo non è reputato un elemento pronto a sopperire alla mancanza di un titolare, nonostante i romanisti siano stati protagonisti da un’ovazione all’Olimpico quando il tecnico croato ha scelto di farlo entrare contro l’Athletic Bilbao. I più maligni parlano di applausi ironici, quasi fosse la mascotte della squadra. Quelli più lungimiranti credono che le sue qualità tecniche saranno determinanti per la vittoria di un titolo.
Come spesso accade, la verità sta in mezzo: Saud ha cominciato da un mese un percorso di crescita ed è il primo calciatore che ha fatto la rotta inversa, ossia partire dal mondo dorato arabo per andare in quello europeo, meno ricco ma più tecnico. L’obiettivo è di diventare un crack internazionale. Se poi la Roma vincerà la scommessa, allora incasserà milioni dalla sua vendita, altrimenti avrà speso soldi per l’ennesima meteora sulla fascia destra.