Pagine Romaniste (Alessio Nardo) – Eccolo, finalmente. Gianluca Petrachi, anni 50 compiuti lo scorso mese di gennaio. Un ex calciatore di buon livello, oggi dirigente rampante e determinato, pronto a compiere un ulteriore salto di qualità con l’obiettivo di consolidare la sua fama di ottimo operatore di mercato. Lo ha scelto la Roma, bisognosa di un punto di riferimento solido a livello tecnico, tristemente mancante dal giorno dell’addio di Walter Sabatini, l’uomo che tra invenzioni, miracoli e anche errori puntualmente corretti ha permesso al club giallorosso di crescere negli anni, sino a diventare, assieme al Napoli, l’alternativa più credibile in Italia alla Juventus dominatrice. Ottobre 2016: da lì in poi, spazio prima a Massara, successivamente a Monchi e infine di nuovo a Massara. Periodo di lenta e graduale involuzione, che ha portato la Roma fuori dalla Champions League dopo un quinquennio di presenza fissa sul podio della Serie A.
Altolà alle tentazioni esotiche. Esperimento fallito con Ramon, l’andaluso tornato felicemente (per tutti) a casa. Spazio ad un dirigente italiano, esperto di cose nostrane: umori, sensazioni, tensioni, reazioni alle vittorie e alle sconfitte. Conoscenze essenziali, nel nostro calcio esasperato ed iper-esigente, al fine di svolgere al meglio il proprio lavoro. Quasi 10 anni di Torino per Petrachi (prese in mano il comando della direzione sportiva nel gennaio 2010, dopo l’addio di Rino Foschi) ed una crescita costante. Anzi, inarrestabile: dalla promozione in A, avvenuta nel 2012, ad un consolidamento nelle sfere medio-alte del campionato, con tanto di inatteso inserimento nella lotta al 4° posto avvenuto per la prima volta nella stagione appena terminata. L’attuale ossatura granata è frutto delle intuizioni di Petrachi. Almeno tre le operazioni riuscitissime nel reparto difensivo. La prima riguarda il portiere, Salvatore Sirigu, prelevato a titolo gratuito dal Paris SG. Poi Armando Izzo (8 milioni dal Genoa, oggi vale come minimo il doppio) e Nicolas N’Koulou (acquistato dal Lione per 4 milioni complessivi). Ma anche Djidji e Aina, giunti in prestito da Nantes e Chelsea, si sono rivelate buone intuizioni. Così come i vari Ansaldi, Rincon, Meité, Baselli, Iago Falque, Berenguer e ovviamente il “gallo” Andrea Belotti (preso nel 2015 dal Palermo per 8,4 mln, ora ne vale almeno 40). Squadra competitiva e completa, costruita negli ultimi anni con budget ovviamente limitati.
Tanti gli altri colpi del decennio. Soprattutto nel reparto difensivo. Una delle primissime intuizioni di Petrachi rispose al nome di Danilo D’Ambrosio, pescato addirittura in Serie C, alla Juve Stabia. Oggi è un punto fermo dell’Inter. E come non pensare allo stesso Bruno Peres, strappato al Santos per 2 milioncini e rivenduto due anni dopo alla Roma per un totale (prestito più riscatto) di 13,5 mln. Discorso simile per Nikola Maksimovic, preso nel 2014 dalla Stella Rossa per 2,5 mln e venduto al Napoli negli anni successivi per oltre 20 mln. Senza trascurare Kamil Glik, acquistato nel 2011 dal Palermo per poco più di 2 milioni e spedito al Monaco (con cui si è laureato campione di Francia) nel 2016 per 11 mln. Riuscitissime anche le operazioni Zappacosta (4,3 all’Atalanta nel 2015, venduto al Chelsea nel 2017 per 25) e Benassi (preso per 4,8 mln dall’Inter nel 2014 e ceduto alla Fiorentina per 10 più bonus nel 2017). I principali colpi in attacco, oltre a Belotti, sono stati Fabio Quagliarella (soffiato alla Juve nel 2014) e soprattutto Ciro Immobile, capocannoniere in granata nel 2013-2014 con 22 gol (dopo un’annata difficile col Genoa, bravissimo Petrachi a credere nel giocatore) e ceduto l’estate successiva al Borussia Dortmund per quasi 20 milioni.
Come ogni direttore sportivo, Petrachi ha collezionato anche dei fallimenti. Operazioni promettenti non andate a buon fine. Dei tanti giocatori movimentati dal 2010, prendiamo in considerazione quelli giunti dall’estero. Ad esempio il terzino sinistro uruguagio Pablo Caceres, al Toro nel 2012-2013 senza lasciar traccia (appena 2 presenze in A). Oppure l’attaccante angolano di origine belga Dolly Menga, approdato in Italia nel 2013 dal Lierse senza che nessuno, fondamentalmente, se ne sia mai accorto. Altri acquisti rivedibili furono gli svedesi Alexander Farnerud, Pontus Jansson e Samuel Gustafson. Ma soprattutto l’esterno argentino Juan Sanchez Mino, acquistato dal Toro nel 2014 dal Boca Juniors per circa 3,2 mln tra mille aspettative e rispedito in Sudamerica 12 mesi più tardi senza grossi rimpianti. Poco produttivi anche gli ingaggi del centrocampista bosniaco Sanjin Prcic nel 2015 e del portiere inglese Joe Hart nel 2016. Un piccolo smacco al collega Sabatini, sempre nel 2016, fu l’acquisto del fantasista argentino Lucas Boyé dal River Plate, che il dirigente umbro avrebbe voluto portare alla Roma. Ad oggi, un talento inespresso. Parcheggiato in prestito in Grecia, all’AEK Atene.