La Gazzetta dello Sport (V.Cito) – Non c’è niente da fare, come la giri e come la volti, l’uomo è tutto in quella corsa sotto la curva. Clicchi sui siti, cerchi su Internet, incappi subito nella foto scattata il 30 settembre 2001, giorno di Brescia-Atalanta: la squadra di casa sotto 1-3, i tifosi bergamaschi cominciano a insultare l’allenatore avversario tirando in ballo la famiglia, poi Baggio accorcia e quindi nel finale arpiona il 3-3. E allora lui si alza, inseguito vanamente – nonostante l’età – dal dirigente Edoardo Piovani degli ospiti e restituisce le parolacce. Sarà squalificato (da un giudice zelante), vituperato (dai benpensanti) scortato (a Bergamo, nella gara di ritorno) ma consegnato per sempre alla memoria collettiva. Lui è Carlo Mazzone e oggi compie 80 anni: gli auguri per lui stanno piovendo da tutto il mondo. Ha risposto con l’arguzia di sempre: «Grazie a tutti, ma oggi resto in famiglia. L’ho tanto trascurata nella mia carriera». Ieri, però, era nella sua Ascoli e prima della partita è stato osannato dai tifosi. «Fa piacere, vuol dire che ho lavorato bene». Solo in provincia possono capire un uomo così.
ICONA – Perché di Mazzone la gente ama soprattutto la spontaneità, quella sconosciuta ormai agli allenatori di oggi, che parlano in punto e virgola, amano le ripartenze, attaccano gli spazi, fanno densità a centrocampo, tutte cose che ha sempre fatto anche lui, chiamandole con un altro nome. Potevano accettarlo solo dove il calcio è sofferenza. Si consacra ad Ascoli, dove in tre anni porta la squadra dalla C alla prima storica stagione in A e poi la salva (1974-75), farà altrettanto con Catanzaro, Cagliari e Lecce, scrive un piccolo pezzo di storia a Perugia, con quella vittoria sulla Juve che le fa perdere uno scudetto all’ultima giornata (1999-2000), tiene in A il Brescia per 3 stagioni (dal 2001 al 2004), dopo decenni di continui saliscendi con la B (e un’altra salvezza la conquisterà poi De Biasi), sopravvive a presidenti come Rozzi, Gaucci e Corioni, sempre ruspante («Difensore scivoloso, difensore pericoloso»), a volte graffiante («Dicono che i torti arbitrali prima o poi si compensano? Con me fate presto, sono in rosso e sto andando in pensione»), cresciuto alla scuola della concretezza («La tecnica è il pane dei ricchi, la tattica è il pane dei poveri»). In Mazzone i giocatori vedono un altro genitore, non a caso nato il 19 marzo, la festa del papà. Che magari si arrabbia e ti punisce ma è pronto a capire le altrui debolezze, a correggere gli errori e onesto nel riconoscere i propri.
FALSO STEREOTIPO – Considerare Mazzone solo una bandiera dei disperati però è fuorviante. L’uomo ha allenato anche in grandi piazze, a Roma ha fatto esordire Totti nel 1993 («Lo scoprii per caso in una partitella infrasettimanale contro la prima squadra, non sapevo nemmeno come si chiamasse. Lo volli subito con me a due condizioni: che non guidasse più il motorino e che non andasse in giro con i capelli bagnati. Si fosse beccato una polmonite, sarebbero saltati tutti i miei piani»). Nella Fiorentina conquistò un terzo posto nella stagione 1976-77, cannibalizzata da Juventus e Torino che chiusero a 51 e 50 punti una stagione monstre. A Brescia fu voluto da Baggio, che pretese nel contratto una clausola che l’avrebbe liberato se l’allenatore fosse andato via. Se il calciatore italiano più talentuoso degli ultimi anni ti considera così, proprio catenacciaro non sei. Perché è quella l’accusa che lo ha ferito di più. Difensivista, offensivista? Tutte fregnacce, sono un allenatore e basta. E non dimentico quanto disse Fulvio Bernardini agli allievi del Supercorso di Coverciano “Avete speso tanti soldi per andare a studiare l’Olanda, bastava andare a vedere l’Ascoli di Mazzone”». Erano gli albori della carriera. E riconoscimenti gli sono arrivati anche quando aveva ormai smesso, Nel 2009 Pep Guardiola gli ha dedicato la prima Champions League vinta col Barcellona, dopo averlo voluto ospite alla finale di Roma («E’ stato un onore e un piacere per me essere allenato da Mazzone a Brescia. Sempre al mio fianco quando fui ingiustamente accusato di doping»). E qualcosina, nel suo piccolo, ha vinto anche Mazzone pur se, nello stile del personaggio, si tratta di manifestazioni che non esistono più: il torneo di Capodanno con l’Ascoli (1981), la coppa di Lega italo-inglese con la Fiorentina (1975), l’Intertoto col Bologna (1998).
SOPRANNOME – Resta da chiarire il perché del soprannome, «Er magara». Lo spiegò in una intervista: «Nel 1978 a Catanzaro un giornalista venne a seguire gli allenamenti e stupito da come giocassimo bene disse che con la Juve il giorno dopo avremmo anche potuto vincere. E io, alla romana, replicai “magara”». La stessa risposta che – ne siamo sicuri – darebbe oggi a chi, con tutto il cuore, gli augurassero di superare i 100 anni –. Ma toccando ferro e qualcos’altro…