La Gazzetta Dello Sport (M.Cecchini – D.Stoppini) – Se Francesco Totti si voltasse indietro, capirebbe che il destino non gli aveva lasciato scampo. Il suo numero non poteva che essere il 10. I 24 anni che sono trascorsi dal suo esordio nella Roma, infatti, hanno raccontato storie così piene di fantasia (anche) extracalcistica da averlo reso imprevedibile e proprio per questo unico. A cominciare dai primi passi.
1 – Che fosse un predestinato lo avevano capito tutti. Il (dolce) problema è che la voce si era sparsa anche fuori dal Grande Raccordo Anulare e così un giorno bussarono alla porta di casa alcuni funzionari del Milan. «Avevo 13 anni e qui soldi ci avrebbero fatto comodo – racconta Francesco – ma la mia famiglia disse di no. Fu una scelta non facile, però il cuore mi portava da un’altra parte». Quella del destino, che si materializzò poche settimane dopo nella Roma. Il resto, è storia nota.
2 – Se potesse girare per la strada, non esisterebbe un testimonial migliore di lui. Totti è innanzitutto un innamorato della sua città, che però può girare solo di notte, quando non c’è nessuno a riconoscerlo. «Il simbolo è il Colosseo, il volto Alberto Sordi». Ha conosciuto Premier, omaggiato Papi, fatto da ambasciatore di Roma nel mondo. Il suo calcio si può discutere, la sua romanità no. Così schietta che, se gli chiedeste qual è il problema più grande di Roma, vi risponderebbe: «Il traffico». Con un sorriso disarmante.
3 – In un giorno di giugno del 2000, gli chef di tutto il mondo esultarono. Del cecoslovacco (all’epoca era così) Panenka e del suo colpo preferito non si ricordava più nessuno, e così quando Totti batté Van der Sar con un «cucchiaio» dal dischetto, rubò la vetrina del mondo. L’Italia che arrivava in finale dell’Europeo annientando l’Olanda padrona di casa faceva notizia, ma la sfrontatezza di quel ragazzo che aveva avuto il coraggio di pensare quel colpo – comunicandolo in anticipo ai compagni attoniti – raccontò ai signori e agli umili del calcio che il Predestinato era arrivato già nel paradiso dei grandi. Che poi gli azzurri perdessero quella finale maledetta contro la Francia fu solo un doloroso dettaglio. Chi aveva il coraggio di «scucchiaiare» davanti a un muro arancione al termine di una partita infinita, doveva avere dentro qualcosa di speciale, un gusto per il calcio inimitabile. Da assaporare lentamente.
4 – Dal pacchetto uscì una maglietta bianca, siamo nel 2002. Sopra c’era il numero 10 e una scritta nera: «Totti». Certo, il contratto allegato al regalo era la cosa più importante (e di zeri ce n’erano tanti), ma Florentino Perez sapeva che, per un appassionato di calcio, la casacca del Real Madrid era qualcosa di sacro. Poteva essere sua, quella volta e non solo, perché nel 2005 l’eccelso Zidane aveva deciso che il tempo era terminato e lo attendevano altre sfide. La Grande Tentazione restò dentro la testa di Francesco a lungo, soprattutto perché – bilanci alla mano – l’avvenire giallorosso non sembrava roseo. Poi però inviò la cortese risposta: «No, grazie». No grazie al Real, ma anche a tanti titoli, Coppe, forse anche al Pallone d’oro. E allora perché chiudere le orecchie a quella sirena che tutti vorrebbero ascoltare? Totti lo confidò a un amico: «So’ troppo tifoso della Roma».
5 – Il grido, le mani nei capelli, lo stadio che prima ammutoliva e poi ululava la propria rabbia. Totti si era fatto male sule serio. Toccò al povero Vanigli dell’Empoli diventare il capro espiatorio non di una tifoseria, ma di tutti gli appassionati di calcio. Quell’infortunio – perone sinistro rotto, legamenti della caviglia lesionati – non feriva l’estetica pallonara, ma il fanciullino azzurro che ognuno ha nel cuore. Era il 19 febbraio 2006 e a giugno sarebbe cominciato il Mondiale di Germania. Il recupero? Impossibile. Occorrerebbe un miracolo. Quello che si materializzò nei cento giorni postoperatori grazie a ore e ore di lavoro quotidiano. Così, come in una favola a lieto fine, Francesco a giugno indossò la maglia azzurra numero 10. Pesante come sempre. Anzi di più, soprattutto quando, negli ottavi contro l’Australia, fu solo sul dischetto per battere il rigore che valse il paradiso. Lui c’era.
6 – E c’era pure qualche mese più tardi: nel gesto tecnico del 26 novembre 2006, tiro al volo contro la Samp da posizione impossibile che fece venire giù Marassi, c’è tutta la lucida follia di un campione mai banale. Francesco l’ha sempre eletto tra i suoi gol più belli: lì dentro c’è racchiuso tutto e di più, potenza, precisione, coordinazione, immaginazione perché il genio è solo immaginarla, una traiettoria così.
7 – C’è una maglia che Francesco Totti continuerà a indossare ed è bianca e celeste, pensa un po’. Non è uno scoop e neppure uno scandalo. Piuttosto un onore, perché quelli sono i colori dell’Unicef di cui Totti è ambasciatore. Con orgoglio e molto spesso in silenzio, perché per raccontare tutte le volte in cui Francesco s’è infilato, di nascosto dalla Roma, dai giornalisti e dai fotografi, dentro un ospedale per regalare un sorriso ai malati ci vorrebbero un paio di pagine a parte. Il campione silenzioso sa essere decisivo anche fuori dal campo. In altro modo, con lo stesso impatto: potenza di quegli occhi magnetici, di quello sguardo che per un bambino vale un viaggio per la felicità.
8 – Eppure c’è stato un periodo in cui Totti era solo France’, il Pupone – che fastidio quel soprannome, pensare che c’è ancora chi lo chiama così… –, il campione del Raccordo Anulare, la fascetta in testa e i congiuntivi tanto traballanti da favorire un antipatico ritornello, le barzellette su Totti. Che un bel giorno andò a cena con Maurizio Costanzo e l’allora sindaco di Roma Walter Veltroni: i tre insieme partorirono un’idea vincente, un libro in cui lo stesso Totti raccogliesse le barzellette su se stesso. Fu un successo, non solo economico – 1 milione e 200 mila copie che fruttarono l’ennesima beneficenza – ma soprattutto d’immagine: da quel giorno dell’anno 2003 il mondo intorno a Totti è cambiato. Lui no, ma non è mica colpa sua. Semmai, è un merito.
9 – Tanto per dire: nessuno mai, prima di quel 2003, si sarebbe sognato di invitarlo a Sanremo. Nel 2006 ci andò giusto per applaudire la moglie Ilary Blasi, all’epoca protagonista sul palco. Era solo il primo passo, perché tre mesi fa i ruoli si sono ribaltati: Ilary a casa con i tre figli, Francesco che scende le scale dell’Ariston e spadroneggia come se si trovasse sulla trequarti di un campo, pronto a fornire un assist e o a tirare in porta. Totti e la tv è un amore spontaneo, poco preparato e forse per questo profondamente vero. Come quando all’improvviso cambia la scaletta di Sanremo spiazzando come dal dischetto i presentatori, citando un cantante piuttosto che l’altro. Totti è così, sorprendente e divertente. Di spot tv ne ha girati tanti: raccontano che i momenti più esilaranti fossero quelli fuori onda. Ecco, passate la metafora: fortunato è chi si è goduto Totti a Trigoria, in questi anni, ancor prima che Totti in campo.
10 – Fortunato chi ha potuto giocarci vicino, chi ha potuto viverlo fianco a fianco, Francesco. Fortunato chi di calcio ne capisce, chi tra i suoi colleghi ha fatto a gara per avere una sua maglia – uhhh, le file davanti agli spogliatoi… – e chi per una foto avrebbe fatto, anzi ha fatto, salti mortali. Prendi gli altri 10 e mettili in fila. «Questo è calcio, che fenomeno», ha detto di lui Lionel Messi. «È il più forte che abbia mai visto in vita mia», è stata la firma di Diego Armando Maradona. «È il Pelé italiano», disse del capitano O Rey. L’elenco sarebbe lungo, ma cosa aggiungere dopo questi tre giganti?